La Corte Edu ha deciso il ricorso presentato da un cittadino ungherese riguardante la presunta
mancanza di un quadro normativo relativo al riconoscimento giuridico del cambiamento
dell’indicatore di sesso/genere nel registro delle nascite e, per conseguenza, ha verificato la supposta
violazione dell’art. 8 della Convenzione.
A tal riguardo, la Corte ha primariamente ricordato che il diritto al rispetto della vita privata si
estende all’identità di genere, quale componente dell’identità personale. E che ciò vale per tutti gli
individui, comprese le persone transgender che non si sono sottoposte a trattamento di
riassegnazione di genere o che non desiderano sottoporsi a tale trattamento. Oltre a questo, la stessa
ha ribadito che l’art. 8 CEDU impone agli Stati un obbligo positivo di assicurare ai propri cittadini il
diritto al rispetto effettivo della loro integrità fisica e psichica, garantendo procedure rapide,
trasparenti e accessibili per modificare l'”indicatore di sesso/genere” registrato di persone
transgender. Nella specie, le circostanze hanno evidenziato lacune legislative e gravi carenze che
hanno lasciato il ricorrente in una situazione di incertezza riguardo alla sua vita privata e al
riconoscimento della sua identità. Questa situazione, di cui le autorità nazionali sono state le uniche
responsabili, ha avuto conseguenze negative per la salute mentale del ricorrente e ciò è apparso
sufficiente per consentire alla stessa Corte di concludere che il quadro giuridico in vigore all’epoca
dei fatti non prevedendo “procedure rapide, trasparenti e accessibili” per l’esame di una richiesta di
modifica del sesso registrato di persone transgender sui certificati di nascita ha violato l’articolo 8
della Convenzione.