La Corte Edu si è pronunciata sul caso riguardante la detenzione di migranti tunisini presso l’hotspot di Lampedusa ed ha condannato l’Italia per violazione degli articoli 3 e 5 §§ 1 (f), della Convenzione nonché dell’art. 4 del Protocollo n. 4 per rimpatrio collettivo forzato. Nella specie, i giudici di Strasburgo, con riferimento al primo parametro, hanno ritenuto inumano e degradante il trattamento cui sono stati sottoposti i ricorrenti durante la loro permanenza nell’hotspot per le precarie e pessime condizioni igieniche. Sulle carenti condizioni materiali del centro molteplici fonti nazionali e internazionali avevano attestato tali criticità dovute, in particolare, anche al suo sovraffollamento. Quanto invece all’art. 5 § 1 (f), nel valutare se la restrizione della libertà dei ricorrenti avesse rispettato il requisito della “liceità”, e in particolare se fosse fondata sulle “norme sostanziali e procedurali del diritto nazionale”, la Corte ha richiamato l’attenzione sulla definizione di “punto di crisi” e poi ha accertato la violazione della predetta disposizione convenzionale per mancanza di una base giuridica chiara ed accessibile e per l’assenza di un provvedimento motivato concernente il trattenimento dei ricorrenti. In fine, la Corte EDU ha constatato che i provvedimenti di respingimento e di allontanamento adottati dalle autorità italiane avrebbero richiesto un intervento legislativo, in quanto incidenti sulla libertà personale e, consistendo in un’espulsione collettiva di stranieri, ha per conseguenza ritenuto violato finanche l’art. 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione.
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