Con la decisione in esame, la Corte Edu si è pronunciata sul ricorso presentato contro la Repubblica della Macedonia del Nord da un cittadino, ex membro del Parlamento e ministro degli affari interni dello Stato convenuto, per violazione dell’art. 6 CEDU in relazione alle particolari modalità con le quali, nel procedimento penale a cui il ricorrente era stato sottoposto, era stata acquisita la deposizione di un testimone, di cui
era stata protetta l’identità, e per l’esclusione del pubblico da diverse udienze.
La Corte coglie l’occasione di ribadire l’insegnamento per il quale la pubblicità delle udienze contribuisce a realizzare l’obiettivo di un processo equo, la cui garanzia costituisce uno dei principi fondamentali di qualsiasi società democratica. L’obbligo di tenere un’udienza pubblica sarebbe dunque suscettibile di deroga nel solo caso in cui l’esclusione del pubblico fosse necessaria per preservare un superiore interesse pubblico, purché lo svolgimento del giudizio a porte chiuse sia bilanciato con la garanzia della conoscibilità per la difesa di ogni prova.
Nel caso di specie, i giudici di Strasburgo hanno invece ritenuto che il conferimento dello status di testimone protetto fosse stato riconosciuto in mancanza di ogni adeguato accertamento sull’esistenza di eventuali minacce nei confronti del testimone o della sua famiglia.
A questo si aggiunge il rilievo che la determinazione in ordine all’esclusione del pubblico dalle udienze sia stata assunta in assenza di ogni altra misura per controbilanciare l’effetto dannoso che la decisione di tenere il processo a porte chiuse avrebbe avuto sulla fiducia del pubblico nella corretta amministrazione della giustizia.
Su tali argomentazioni, la Corte ha dichiarato la violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione a causa della totale ingiustizia del procedimento contro il richiedente e, per l’effetto, condannato lo Stato convenuto al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno subito.