La CEDU su arresto e detenzione preventiva (CEDU, sez. V, sent. 7 novembre 2019, ric. n. 64581/16)

La Corte Edu si pronuncia sulla causa del sig. Jafarov contro l’Azerbaijan.
Il ricorrente era uno dei co-fondatori del movimento politico chiamato Republican Alternative Civic Movement (REAL), che nel 2016 aveva avviato una campagna contro i proposti emendamenti alla Costituzione, che, tra l’altro, miravano ad estendere il mandato presidenziale da cinque a sette anni e ad introdurre la carica di vicepresidente. Il referendum era fissato a settembre 2016.
Nell’agosto 2016 il ricorrente veniva arrestato con l’accusa di imprenditoria illegale e abuso di potere aggravato. Le accuse erano basate sulla presunta mancata registrazione da parte sua di sovvenzioni ricevute dalla National Endowment for Democracy degli Stati Uniti, per progetti realizzati tra il 2011 e il 2014, somme che erano state depositate in vari conti bancari ed utilizzate per effettuare pagamenti a sé stesso ed agli altri soggetti coinvolti nei progetti sotto forma di stipendi e costi di servizio. Il sig. Jafarov fu messo in detenzione preventiva per quattro mesi e durante l’udienza d’appello fu tenuto in una gabbia di metallo in tribunale. In sede d’appello fu confermata la decisione di primo grado. Alla fine di agosto il REAL decise di interrompere la campagna contro gli emendamenti alla Costituzione, a causa degli arresti di alcuni dei suoi membri, fra cui appunto il ricorrente. Il sig. Jafarov fu rilasciato all’inizio di settembre 2016 dopo che il procuratore responsabile del caso aveva richiesto in tribunale di interrompere la misura preventiva, per insussistenza di motivi per la sua detenzione. Il referendum si svolse come previsto e furono approvate, con maggioranza schiacciante, le modifiche alla Costituzione. La Corte, ribadendo la sua precedente giurisprudenza, ha affermato che il trattenimento delle persone in gabbia durante le udienze in tribunale è offensivo della dignità umana; un trattamento oggettivamente degradante in violazione dell’art.3 della Convenzione, indipendentemente dal fatto che questo sia avvenuto alla sola presenza di avvocati e dipendenti del tribunale, senza diffusione pubblica delle immagini. Inoltre, i Giudici di Strasburgo hanno riscontrato, in particolare, l’assenza di motivi per intentare azioni penali nei confronti del ricorrente, il quale era stato arrestato e messo in detenzione preventiva in assenza di un ragionevole sospetto di commessione di un reato. La Corte, che si era già occupata di un caso analogo, ha ritenuto che l’arresto e la detenzione, anche nel caso del sig. Jafarov, perseguivano uno scopo ulteriore, cioè la punizione per il suo attivo impegno politico e l’impedimento della partecipazione, come membro dell’opposizione, alla campagna referendaria contro le modifiche alla Costituzione. La Corte ha quindi ritenuto che la restrizione alla libertà del ricorrente fosse stata imposta per ragioni diverse da quelle stabilite nell’art. 5 § 1 (diritto alla libertà e sicurezza) della Convenzione e che vi era stata una violazione dell’art. 18 (limitazione dell’uso della restrizione ai diritti), in combinato disposto con l’articolo 5 (mancanza di un efficace controllo giurisdizionale della detenzione). da tali conclusioni la Corte non ha visto alcun motivo per esaminare separatamente la denuncia del ricorrente ai sensi dell’art. 11, che tutela la libertà di associazione.

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