Va dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione della legge regionale della Regione Sicilia che proroga il termine per la denuncia dei pozzi di un decennio perché in contrasto con la disciplina statale in materia di tutela delle acque, normativa deve essere ascritta all’area delle riforme economico-sociali, sia per il suo «contenuto riformatore», sia per la sua «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza». In particolare, l’indicazione dei criteri generali per un corretto e razionale uso dell’acqua risponde dunque a un interesse unitario che esige un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale e non tollera discipline differenziate nelle sue diverse parti. Le istanze oggetto di dialettica e di bilanciamento nelle scelte ad essa relative – fabbisogno idrico, tutela dei corpi idrici e degli ecosistemi, biodiversità, necessità produttive dell’economia “idrodipendente” – non possono infatti che essere ponderate unitariamente con un’operazione che solo il legislatore statale può compiere. In questo contesto devono essere qualificate come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» non solo le disposizioni statali direttamente espressive del descritto modello regolatorio in tema di tutela delle acque, ma anche le previsioni, solo apparentemente di dettaglio, che siano collegate alle prime da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione. Ed è proprio ciò che accade nel caso in esame, in cui la norma statale che impone la denuncia dei pozzi in uso riveste importanza decisiva per la tutela quantitativa della risorsa idrica e per la pianificazione della sua utilizzazione.
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