Con la sentenza n. 2 del 2023 la Corte costituzionale, in risposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Sassari, ha affermato che nei confronti di persone già condannate per delitti non colposi, e abitualmente dedite, per la loro condotta, alla commissione di reati, il questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione consistente nel divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari. Trattandosi di un provvedimento che incide sulla libertà di comunicazione, l’autorità di pubblica sicurezza può farne proposta, ma la decisione spetta all’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 15 della Costituzione. È quindi costituzionalmente illegittima la disposizione del codice delle leggi antimafia nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, include i telefoni cellulari nella nozione di «apparato di comunicazione radiotrasmittente» di cui il questore può vietare – con l’avviso orale “rafforzato” – il possesso o l’utilizzo. La Corte ha inoltre affermato che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo consenta di soddisfare. Tuttavia, ha riconosciuto che nello specifico caso in esame la disciplina restrittiva relativa al telefono cellulare – considerata l’universale diffusione (attuale) di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – «finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione». Per questa ragione la Corte costituzionale ha ricordato come la decisione non possa che spettare all’autorità giudiziaria, come sancito dall’articolo 15 della Costituzione.
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