La Corte Edu si pronuncia sul caso di una donna croata, residente a Rijeka (Croazia), rimasta incinta (a seguito di fecondazione in vitro – FIV) subito dopo essere stata assunta presso una società a Spalato. La ricorrente si era vista negare la copertura assicurativa sanitaria del lavoro durante la gravidanza, avendo le autorità croate ritenuto fittizio il recente contratto di lavoro firmato dalla stessa, in quanto finalizzato unicamente a garantirle il pagamento dello stipendio durante la gestazione. Secondo le autorità interne, inoltre, la donna non avrebbe dovuto iniziare a lavorare durante le pratiche di fecondazione in vitro, essendo clinicamente non idonea a lavorare in una città lontana da casa a causa del processo di riproduzione artificiale in corso. I Giudici di Strasburgo hanno rilevato, in particolare, che le autorità croate non avevano dimostrato alcuna frode perpetrata nel caso di specie, in quanto la donna non poteva sapere al momento dell’assunzione se le pratiche di FIV avrebbero avuto successo e, comunque, non aveva obblighi legali di informazione del datore di lavoro su tali aspetti della sua vita privata. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il diniego opposto alla sig.ra Jurčić equivaleva a sostenere che le donne incinte non possano e non debbano cercare lavoro: pertanto, il rifiuto di attribuire o riconoscere un beneficio correlato all’occupazione ad una donna incinta, sulla sola base della sua gravidanza, equivale a una discriminazione diretta basata sul sesso (non opponibile, infatti, agli uomini). Di qui la conclusione che la differenza di trattamento subita dalla ricorrente non era obiettivamente giustificata e, pertanto, era contraria alla Convenzione. La Corte ha colto l’occasione per ricordare che il raggiungimento di una reale parità di genere sostanziale è uno dei principali obiettivi degli Stati membri del Consiglio d’Europa.
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