Il caso sottoposto all’attenzione della Corte riguarda la presunta violazione dell’art. 8 della
Convenzione. La ricorrente lamentava la lesione del proprio diritto al rispetto della vita privata,
sostenendo che i giudici francesi, concedendole il divorzio per sua colpa esclusiva, in ragione del
rifiuto di intrattenere rapporti intimi con l’ex coniuge, avessero riesumato l’obsoleta nozione di
dovere coniugale, abbandonata dalla Cassazione nel 1990 e incompatibile con la criminalizzazione
dello stupro coniugale nel diritto penale francese.
I giudici di Strasburgo, pur ritenendo “prevedibili” le interferenze dei tribunali nazionali sulla
base di una solida giurisprudenza interna, affermano che tali pronunce incidono su uno degli
aspetti più intimi della vita privata della persona, ove il margine di apprezzamento lasciato agli
Stati è estremamente ristretto e giustificato solo da motivi particolarmente gravi. Inoltre, essi
rilevano che tali decisioni non considerano il consenso come limite essenziale all’esercizio della
libertà sessuale altrui. In conclusione, la Corte stabilisce che la riaffermazione del dovere coniugale
e il divorzio per esclusiva colpa della ricorrente non siano giustificati da motivi sufficientemente
gravi. Di conseguenza, ritiene che i tribunali nazionali non abbiano agito bilanciando in modo
diligente e adeguato i diritti in conflitto e dichiara all’unanimità la violazione dell’articolo 8.