Misure di prevenzione a causa della detenzione: la pericolosità sociale va rivalutata anche se il periodo di reclusione è inferiore ai due anni (Corte cost., sent. 24 settembre – 17 ottobre 2024, n. 162)

Con la sentenza n. 162 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art.
14, comma 2-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e precisamente nella parte in cui
prevede che, in caso di sospensione dell’esecuzione della sorveglianza speciale durante il tempo in
cui l’interessato è sottoposto a detenzione per esecuzione di pena, il Tribunale verifica la
persistenza della sua pericolosità sociale soltanto ove lo stato di detenzione si sia protratto per
almeno due anni. La Corte ha infatti ritenuto che, in caso di sospensione della misura di
prevenzione a causa della detenzione, la pericolosità sociale del soggetto interessato deve poter
essere sempre rivalutata, anche d’ufficio, dal giudice competente e, fino a tale rivalutazione, la
misura di prevenzione in precedenza disposta dovrà considerarsi sospesa e le prescrizioni da essa
imposte inefficaci. In proposito, i giudici costituzionali sottolineano che, nella materia attigua delle
misure di sicurezza, una consolidata giurisprudenza ha ritenuto incompatibile con il criterio della
ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., l’automatica applicazione di svariate presunzioni assolute di
pericolosità sociale. Analogamente, una presunzione di persistente pericolosità laddove la
sospensione connessa allo stato di detenzione sia inferiore ai due anni, come nel caso di specie,
risulta certamente irragionevole e, altresì, discriminatoria rispetto alla parallela disciplina
attualmente disposta per le misure di sicurezza: non sussiste «alcuna ragione per ritenere che
nell’arco di un intero biennio la personalità di un individuo […] non possa subire significative
modificazioni, quando si tratti di un individuo detenuto in esecuzione di una pena, e dunque
sottoposto a un trattamento che per vincolo costituzionale è finalizzato alla sua rieducazione»:
irragionevolezza ancor più evidente quando la fine della detenzione sia dovuta alla concessione di
misure alternative, che presuppongono una valutazione positiva. La disposizione impugnata
risulta, inoltre, costituzionalmente illegittima in quanto lesiva anche dell’art. 13 Cost., posto che
essa prevede, invece, un meccanismo di tutela giurisdizionale successivo e soltanto eventuale
(perché attivabile soltanto su istanza di parte) su un requisito centrale – quello della pericolosità
dell’interessato – la cui effettiva e persistente sussistenza al momento dell’esecuzione della misura
deve essere considerata, a sua volta, condizione della sua proporzionalità rispetto ai legittimi
obiettivi di prevenzione dei reati, che la misura di prevenzione persegue. D’altra parte, la
subordinazione della rivalutazione della pericolosità alla richiesta dell’interessato fa ricadere su
quest’ultimo gli eventuali ritardi nella decisione del tribunale, restando nel frattempo eseguibile la
misura nei suoi confronti, con conseguente indebita limitazione della sua libertà personale ex art.
13 Cost. Infine, la disciplina censurata viola l’art. 27, co. 3, Cost. in quanto contrastante con il
principio della necessaria finalità rieducativa della pena, partendo dal non condivisibile
presupposto che un trattamento penitenziario in ipotesi protrattosi fino a due anni sia
radicalmente inidoneo a modificare l’attitudine antisociale di chi vi è sottoposto. A tal stregua, la
Corte costituzionale ha dichiarato l’art. 14, comma 2-ter, d. lgs. n. 159/2011 costituzionalmente
illegittimo limitatamente alle parole «se esso (ndr.: lo stato di detenzione) si è protratto per almeno
due anni».

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