La questione sottoposta alla valutazione della Corte, concernente la violazione degli artt. 3, 8 e 14
della Convenzione, trae origine dall’aggressione subita da una coppia omosessuale la quale lamenta
l’inefficacia dell’indagine condotta in proposito e la mancata persecuzione dell’attacco come reato
compiuto per motivi d’odio.
In merito ai fatti, la Corte rileva che un trattamento discriminatorio può, in linea di principio,
equivalere a un trattamento degradante ai sensi dell’articolo 3 quando raggiunga un livello di gravità
tale da costituire un affronto alla dignità umana. Osservazioni discriminatorie e insulti razzisti
devono in ogni caso essere considerati un fattore aggravante quando si esamina un caso di
maltrattamento alla luce del predetto parametro.
In proposito, la Corte ritiene che gli attacchi contro le persone LGBTI, innescati da espressioni di
affetto, costituiscano un affronto alla dignità umana poiché prendono di mira le espressioni
universali di amore e compagnia. Il concetto di dignità va oltre il mero orgoglio personale o
l’autostima, comprendendo il diritto di esprimere la propria identità e il proprio affetto senza timore
di ritorsioni o violenza. Gli attacchi come quello del presente caso non solo compromettono la
sicurezza fisica delle vittime, ma anche il loro benessere emotivo e psicologico, trasformando un
momento di intimità in uno di paura e trauma. Inoltre, umiliano e degradano le vittime,
trasmettendo un messaggio di inferiorità delle loro identità ed espressioni e, pertanto, rientrano
nell’ambito dell’articolo 3 della Convenzione.
Oltre a costituire un affronto alla dignità umana, gli attacchi contro le persone LGBTI motivati da
manifestazioni di affetto influenzano profondamente la loro vita privata. La paura e l’insicurezza
che tali atti instillano inibiscono la capacità delle vittime di esprimere apertamente emozioni umane
fondamentali e le costringono all’invisibilità e all’emarginazione. La minaccia della violenza
compromette la loro capacità di vivere autenticamente e le costringe a nascondere aspetti essenziali
della loro vita privata per evitare danni. Di conseguenza, tali attacchi possono limitare la loro libertà
di godere del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, con la
stessa libertà delle coppie eterosessuali, imponendo così uno standard differenziale alla loro
espressione di identità e relazioni.
In tali circostanze, la Corte ribadisce che sugli Stati grava l’obbligo di fornire protezione contro gli
attacchi all’integrità di un individuo e il dovere di condurre un’indagine idonea ad accertare i fatti,
identificare e, se del caso, punire i responsabili. Laddove vi sia il sospetto che atteggiamenti
discriminatori abbiano indotto un atto violento, è particolarmente importante che l’indagine ufficiale
venga condotta con vigore e imparzialità, tenendo conto della necessità di riaffermare costantemente
la condanna della società per tali atti e di mantenere la fiducia dei gruppi minoritari nella capacità
delle autorità di proteggerli dalla violenza motivata dalla discriminazione. Il rispetto degli obblighi
positivi dello Stato richiede che l’ordinamento giuridico nazionale dimostri la propria capacità di far
rispettare il diritto penale nei confronti degli autori di tali atti violenti. Senza un approccio rigoroso
da parte delle autorità preposte all’applicazione della legge, i crimini motivati dall’odio verrebbero
inevitabilmente trattati su un piano di parità con i casi ordinari privi di tali connotazioni, e
l’indifferenza che ne risulterebbe equivarrebbe all’acquiescenza ufficiale, o addirittura alla
connivenza, con i crimini d’odio.
Obblighi cui lo Stato convenuto è venuto meno nel caso di specie, omettendo di garantire che
l’attacco omofobo subito dal ricorrente fosse adeguatamente perseguito; al contrario, le autorità
nazionali hanno banalizzato l’incidente, trattando un attacco motivato dall’odio come equivalente a
piccoli disturbi dell’ordine pubblico.
La Corte sottolinea l’importanza cruciale per gli Stati contraenti di affrontare l’impunità nei casi di
crimini d’odio, in quanto rappresentano una minaccia significativa per i diritti fondamentali protetti
dalla Convenzione. Il mancato intervento su tali incidenti può normalizzare l’ostilità verso le
persone LGBTI, perpetuare una cultura di intolleranza e discriminazione e incoraggiare ulteriori atti
di natura simile.
Per questi motivi, la Corte ha accertato violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione, in
combinato disposto con l’articolo 14.