La Corte Edu si pronuncia sul caso riguardante una atleta sudafricana di levatura internazionale,
specializzata nelle corse di media distanza (dagli 800 ai 3.000 metri), vincitrice della medaglia d’oro
negli 800 metri femminili ai Giochi Olimpici di Londra (2012) e Rio de Janeiro (2016) e tre volte
campionessa del mondo nella disciplina (Berlino 2009, Daegu 2011, Londra 2017).
Dopo la sua vittoria negli 800 metri femminili ai Mondiali di Berlino nel 2009, è stata sottoposta a un
test di verifica del genere, per appurare se non fosse un uomo dal punto di vista biologico; quindi
l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica leggera (IAAF) le aveva comunicato la
necessità, in base ai regolamenti interni, di sottoporsi a cure ormonali per diminuire il suo livello
naturale di testosterone per poter partecipare a gare internazionali della categoria femminile.
Nonostante i gravi effetti collaterali sperimentati a seguito del trattamento ormonale seguito, la
ricorrente ha vinto la gara degli 800 metri femminili ai Campionati del mondo di Daegu (2011) e ai
Giochi olimpici di Londra (2012).
Successivamente, però, ha rifiutato di sottoporsi al trattamento e le è stata, così, preclusa la
partecipazione a gare internazionali. Inutile l’esperimento delle vie di ricorso interne avverso tali
decisioni.
Per i Giudici di Strasburgo, nel corso dell’Arbitrato imposto dal regolamento sportivo che esclude il
ricorso ai tribunali ordinari non erano state concesse sufficienti garanzie istituzionali e procedurali
contro la discriminazione della ricorrente basata sul sesso ed imposta da una normativa non statale.
Nel caso di specie, non era stato assicurato un esame efficace delle doglianze della ricorrente, né
l’effettività delle vie di ricorso interne a sua disposizione.
Di qui la riconosciuta violazione del divieto di discriminazione in combinato disposto con il diritto
al rispetto della vita privata, nonché una violazione del diritto a un ricorso effettivo.