La Corte EDU ha deciso il caso avente ad oggetto il ricorso di un cittadino russo, il quale ha
lamentato il rifiuto delle autorità russe di avviare un procedimento penale relativo al suo presunto
avvelenamento con una sostanza identificata come agente nervino chimico. In ragione di ciò, egli ha
denunciato la violazione dell’art. 2 della Convenzione sotto il suo aspetto procedurale, la cui
applicazione come ha ricordato, sin da subito, la Corte ricorre non solo in caso di morte, ma anche
nei casi in cui l’interessato sia stato vittima di un’attività o di un comportamento, pubblico o privato,
che metta a rischio reale e imminente la sua vita. Dall’art. 2 della Convenzione discende altresì
l’obbligo per lo Stato di tutelare il diritto alla vita anche attraverso indagini che soddisfino la soglia
minima di efficacia e siano, per ciò, adeguate, tempestive, ragionevolmente rapide, indipendenti ed
obiettive. Proprio nel caso di specie, i Giudici di Strasburgo hanno osservato che l’incidente occorso
(l’avvelenamento) ha rappresentato un rischio serio ed imminente per la vita del ricorrente, facendo
sorgere in capo allo Stato l’obbligo di svolgere un’indagine che, stando al giudizio della Corte, non
è stata pubblica e non ha tenuto conto del diritto della vittima di partecipare al procedimento; non
ha approfondito le accuse di un possibile movente politico del tentato omicidio, nonché di un
possibile coinvolgimento o collusione di agenti dello Stato, e non ha dato seguito all’uso denunciato
di una sostanza identificata come arma chimica vietata dalle norme internazionali e del diritto
interno. Di conseguenza, le indagini si sono rivelate inidonee all’accertamento dei fatti e irrilevanti
all’identificazione, se del caso, dei responsabili e, pertanto, la Corte EDU ha dichiarato la violazione
dell’art. 2 della Convenzione sotto il suo profilo procedurale.