Nella decisione resa al caso XXX la Corte di Strasburgo ha deciso il ricorso presentato dai parenti di Y, vittima di femminicidio, lamentando la violazione degli articoli 2, 3 e 14 CEDU. In particolare, i ricorrenti hanno denunciato la mancata preventiva protezione della vittima da parte delle autorità di polizia, nonostante i ripetuti maltrattamenti e l’immediato quanto evidente pericolo di vita incombente sulla vittima nonché il mancato esperimento di indagini penali efficaci. Nelle sue motivazioni in generale, la Corte EDU ha ribadito in primo luogo che in base al principio di sussidiarietà spetta alle autorità nazionali riparare qualsiasi presunta violazione della Convenzione e, in linea di principio, una decisione nazionale favorevole al ricorrente non è sufficiente a privarlo del suo status di vittima. Solo quando le stesse autorità riconoscano espressamente o nella sostanza la violazione della Convenzione, riparandola, allora la natura sussidiaria del meccanismo di protezione della CEDU preclude l’esame del ricorso. In secondo luogo, essa ha ricordato che l’incapacità dello Stato di proteggere le donne dalla violenza domestica viola il diritto a un’eguale protezione davanti alla legge e che la passività giudiziaria, creando un clima favorevole a tale tipo di violenza, corrisponde ad una violazione dell’art. 14 CEDU. In merito al caso di specie, i giudici di Strasburgo hanno risolto dapprima la questione inerente lo status di vittima, riconoscendo ai ricorrenti – ai sensi dell’art. 34 CEDU – tale stato giuridico. In virtù di simile circostanza hanno condannato lo Stato convenuto per violazione degli obblighi procedurali previsti dall’art. 2 CEDU in combinato disposto con l’art. 14 CEDU, per non aver condotto efficaci indagini volte a verificare la condotta omissiva e/o connivente delle autorità di polizia. Poi, la Corte EDU ha dichiarato la violazione dell’art. 2 nella sua parte sostanziale, concludendo che l’inerzia generale e discriminatoria delle autorità di fronte a casi di violenza di genere che, come nel caso di specie, culminano con la morte della vittima viola gli obblighi positivi sostanziali che la disposizione intesta agli Stati. Nel caso XXX la condanna dello Stato ha tenuto conto anche della circostanza che l’aggressore fosse lui stesso un agente di polizia. In questi casi, come sottolineato nella sentenza, ci si attende maggiore rigore e severità da parte delle autorità nazionali nel contrastare non solo la violenza di genere in generale, ma anche il senso di impunità degli autori basato sul loro stesso ufficio.
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