L’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 c.p.p., qualora l’istante “vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”, con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà. Quanto alla condotta colposa ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione, l’area applicativa della colpa va ricavata dall’art. 43 c.p., secondo cui è colposo il comportamento cosciente e volontario tale da dare una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare privativo della libertà. In ordine alla colpa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, essa può essere di due tipi: colpa extraprocessuale (ad es., frequentazioni ambigue, connivenza non punibile, comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come contiguità criminale); ovvero colpa processuale (come, ad es., auto-incolpazione o silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi). Con specifico riferimento alla colpa processuale, si precisa che anche le concrete estrinsecazioni del diritto di difesa, possono acquisire, a determinate condizioni, rilevanza in termini colposi. Da un lato, è, infatti, pacifico che la facoltà da parte dell’indagato di non rispondere in sede di interrogatorio ovvero di adottare una condotta reticente o persino mendace costituisca concreto esercizio di un proprio diritto funzionale alla propria difesa ed è, pertanto circostanza di regola del tutto neutra al fine della sua riconducibilità all’area del dolo o della colpa grave. Tuttavia, si è precisato che il concreto esercizio del diritto di difendersi tacendo, non collaborando e persino mentendo può, eventualmente, rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave ai fini che in questa sede rilevano nel caso in cui l’indagato sia in grado di rappresentare specifiche circostanze, non note all’organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l’emissione del provvedimento cautelare, ed invece le taccia: in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, v’è un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell’indagato, al fine di porre l’organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell’unitario quadro investigativo ed indiziario, di rilevare, eventualmente, l’errore in cui si è incorsi nella instaurazione dello stato detentivo.
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