Con la sentenza in epigrafe, il Consiglio di Stato ha bocciato la
norma varata dal Governo, con la quale era richiesto alle società che
intendessero gestire il c.d. “Spid” (l’identità digitale unica, con la quale
i cittadini possono accedere ai servizi delle P.A.) di possedere un
capitale sociale minimo di 5 milioni di euro per accreditarsi come
“Identity Provider Spin”, al fine di dimostrare la propria affidabilità
organizzativa, tecnica e finanziaria, necessaria per lo svolgimento di
un’attività che richiede un rilevante apporto di elevata tecnologia.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto
illegittima “per irragionevolezza dell’impedimento all’accesso al
mercato di riferimento, dovuto all’elevato importo del capitale sociale
minimo richiesto con l’atto impugnato, trattandosi di scelta rivolta a
privilegiare una finalità di incerta efficacia, a fronte della sicura
conseguenza negativa di vedere escluse dal mercato stesso tutte le
imprese del settore di piccole e medie dimensioni, quali appunto quelle
rappresentate dalle associazioni ricorrenti”.
Dunque, se ne trae che l’affidabilità di una azienda non possa
essere messa in relazione al capitale sociale.