Il caso sottoposto al giudizio della Corte Edu concerne l’asserita violazione dell’art. 5, § 1, della Convezione ai danni dei due ricorrenti i quali, nel corso di una manifestazione, erano stati confinati all’interno di un cordone della polizia e successivamente arrestati in base agli artt. 3 e 21 della legge sulla polizia cantonale di Zurigo. Richiamando la propria giurisprudenza sul tema, la Corte ribadisce che qualsiasi atto di privazione della libertà, in ossequio al principio di legalità e a quello della certezza del diritto, debba trovare il proprio fondamento nella legge e che questa debba risultare sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile nella sua applicazione. Nel caso di specie, la Corte ritiene in primo luogo che l’art. 3 della legge nazionale non fosse sufficiente di per sé a costituire una base giuridica idonea a legittimare l’arresto dei ricorrenti poiché la disposizione non menziona specificamente la detenzione come misura per mantenere “la sicurezza e l’ordine pubblico”. L’arresto e la detenzione sono invece previsti, a talune condizioni, dall’art. 21 della legge svizzera quali misure per consentire alle autorità di polizia di effettuare un controllo più approfondito sull’identità di una persona fermata; a parere del Governo, simile previsione dovrebbe essere sussunta nell’ambito dell’art. 5, § 1, lett. b) della Convenzione che autorizza la detenzione quando tale misura miri a “garantire l’esecuzione” di un obbligo prescritto dalla legge (nel caso di specie, l’obbligo di dichiarare la propria identità), ovvero l’obbligo di non turbare l’ordine pubblico commettendo un reato. Senonché, come puntualizzato dalla Corte, l’obbligo statuito dalla legge deve essere specifico e concreto; un arresto può ritenersi ammissibile solo se l’esecuzione di tale obbligo non possa essere ottenuta con misure meno severe; inoltre, il principio di proporzionalità impone che sia raggiunto un equilibrio tra la necessità, in una società democratica, di garantire l’immediata esecuzione dell’obbligo in questione e l’importanza del diritto di libertà personale. Simili condizioni appaiono del tutto inattese nel caso di specie ove le autorità interne, in maniera astratta, hanno sostenuto che fosse necessario condurre i ricorrenti alla stazione di polizia senza tuttavia dimostrare perché un controllo d’identità più approfondito fosse indispensabile e non potesse essere effettuato sul posto. Ne consegue che la detenzione non era la misura meno restrittiva che la polizia avrebbe potuto attuare e che tale detenzione era pertanto irregolare. Passando poi all’obbligo generale di non turbare l’ordine pubblico, la Corte osserva come i ricorrenti non si trovassero nel luogo in cui i segnali lasciavano presagire che si sarebbe potuta svolgere una manifestazione illegale; inoltre, è dato riscontrare come nel corso della manifestazione cui i ricorrenti hanno preso parte non fosse stato emesso alcun ordine di dispersione dei manifestanti per cui la misura di contenimento del cordone era stata adottata in maniera illegittima; infine, dal punto di vista della necessità, l’istituzione del cordone impediva già la commissione di un reato sicché la successiva detenzione non aveva più alcuna ragione di esistere, assumendo un carattere irragionevole e addirittura arbitrario. Ne consegue che la detenzione subita dagli interessati non fosse giustificata dai motivi elencati nella seconda parte dell’articolo 5 § 1 b) della Convenzione. Parimenti infondata appare la misura della detenzione ai sensi dell’art. 5 § 1 c) della Convenzione che consente l’arresto e la detenzione legittima di un individuo qualora vi siano motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi siano motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso. Tale previsione si applica quindi alla privazione della libertà imposta preventivamente al di fuori di un procedimento penale e richiede il rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. Principi che, ancora una volta, sono stati disattesi nel caso di specie ove mancavano elementi probatori idonei a dimostrare l’intenzione degli interessati di commettere un atto illecito. Alla luce di quanto osservato, la Corte ha così concluso nel senso di ritenere la fondatezza dei ricorsi presentati sul presupposto della dimostrata violazione dell’art. 5 § 1 della Convenzione.
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