Il ricorso proposto contro la Polonia trae origine dalla denunciata violazione dell’art. 1 del Protocollo
n. 1 alla Convenzione Edu per effetto del mancato risarcimento del danno subito dall’impresa del
ricorrente a causa di decisioni fiscali illegali e sproporzionate applicate da parte delle autorità statali.
Come ricorda la Corte di Strasburgo, nel contesto di un’ingerenza sui diritti di proprietà privata, il
primo è più importante presupposto è quello della legalità della misura restrittiva. Ciò significa che
l’ingerenza dovrebbe essere conforme alla legge nazionale – la quale dovrebbe tenere conto del
giusto equilibrio da raggiungere tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della comunità nel suo
insieme – e che la legge stessa dovrebbe consentire al richiedente di prevedere le conseguenze della
sua condotta.
Quanto al diritto al risarcimento la Corte osserva che sebbene questo non sia espressamente
contemplato dall’art. 1 del Protocollo, tuttavia esso costituisce un fattore da prendere in
considerazione per determinare se sia stato raggiunto un “giusto equilibrio” tra gli interessi
contrapposti.
Nel merito, la Corte ritiene che la limitazione del diritto del ricorrente al rispetto dei suoi beni non
sia di per sé criticabile, soprattutto alla luce dello scopo legittimo perseguito e del margine di
apprezzamento concesso dal secondo paragrafo dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla
Convenzione. Tuttavia, il rischio di un tale sistema è che possa limitare irragionevolmente la
capacità del richiedente di amministrare i propri beni, in particolare se i procedimenti sono
prolungati, come nel caso di specie. Inoltre, la Corte non è convinta che le autorità nazionali abbiano
dato sufficiente considerazione alla possibilità di adottare misure meno invasive rispetto alla
proprietà del richiedente. La Corte osserva inoltre che il tribunale di primo grado aveva accolto la
domanda del ricorrente e aveva concesso un risarcimento per un importo prossimo a quello da Egli
richiesto; pertanto, nonostante l’annullamento definitivo di tale sentenza da parte della Corte
d’Appello, i giudici sono del parere che l’accertamento dei fatti effettuato dal tribunale di primo
grado indicasse che il ricorrente aveva effettivamente subito un danno patrimoniale significativo e
che il danno in questione era stato direttamente causato dalle misure ordinate dalle autorità fiscali.
Ciò premesso, la Corte ritiene dunque che le restrizioni imposte sui beni personali e commerciali del
ricorrente per tre anni abbiano costituito un onere individuale ed eccessivo, sconvolgendo il “giusto
equilibrio” che dovrebbe essere mantenuto tra la tutela dei il diritto di proprietà e le esigenze
dell’interesse generale. Di conseguenza, c’è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1
alla Convenzione.