La CEDU sulla destituzione di giudici costituzionali in Ucraina (CEDU, sez. V, sent. 12 gennaio 2023, ric. nn. 27276/15 and 33692/15)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di due cittadini ucraini, nominati nel 2006 giudici della Corte costituzionale dell’Ucraina e successivamente destituiti da tale funzione con una risoluzione parlamentare, per “violazione del giuramento”: veniva, invero, loro imputata la partecipazione ad un giudizio conclusosi con una sentenza del 2010, che aveva avuto l’effetto di ripristinare una precedente versione della Costituzione, ritenuta funzionale ad aumentare sostanzialmente i poteri dell’allora presidente dell’Ucraina, Yanukovich. I ricorrenti avevano contestato senza successo la loro destituzione dinanzi ai tribunali nazionali. La Corte Suprema aveva ritenuto, in particolare, che, con l’impugnata sentenza del 2010, la Corte Costituzionale avesse modificato la Costituzione, esercitando un potere che spetta invece al Parlamento, così violando i principi fondamentali della democrazia, della separazione dei poteri e della legittimità delle istituzioni statali. Innanzi ai Giudici di Strasburgo i ricorrenti hanno denunciato la violazione degli articoli 6 (diritto a un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 18 (limitazione all’uso delle restrizioni ai diritti) della Convenzione. La Corte Edu ha ritenuto che l’insufficiente chiarezza della normativa interna che disciplina la destituzione dei giudici costituzionali, così come la sua applicazione da parte del Parlamento e dei tribunali senza un dettagliato ragionamento giuridico, in particolare, sugli elementi costitutivi della “violazione del giuramento” ai sensi della legge applicabile (nonché anche sulla portata della “immunità funzionale” dei giudici medesimi), fosse difficilmente conciliabile con lo stesso obiettivo perseguito attraverso la sanzione delle presunte violazioni del giuramento, cioè il mantenimento della fiducia nello stato di diritto. Quanto accaduto nel caso di specie, aveva, infatti, portato ad una inaccettabile situazione di incertezza giuridica, tanto più grave in considerazione del fatto che verteva sul mandato dei giudici di un tribunale, quello costituzionale, che svolge un ruolo cruciale nel mantenimento dello stato di diritto e della democrazia. In sintesi, secondo i Giudici di Strasburgo, le autorità nazionali avevano utilizzato i loro poteri discrezionali in un modo che aveva compromesso i requisiti fondamentali della ‘legalità’ e ‘prevedibilità’ di cui in Convenzione. Né una giustificazione valida a tutto ciò poteva trarsi dal contesto delle massicce proteste popolari e degli eventi violenti che hanno portato al cambiamento del potere ai vertici dello Stato, in cui quei provvedimenti erano stati adottati: ed invero, non era stata dimostrata l’urgenza del provvedere a quella destituzione da parte del Parlamento mentre, in ogni caso, le autorità giudiziarie adite avrebbero avuto tempo sufficiente per esaminare dettagliatamente i casi dei ricorrenti nel corso del successivo controllo giurisdizionale, rivelatosi però anch’esso del tutto inadeguato.

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