La Corte EDU si è pronunciata sulla presunta violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione, lamentata dal ricorrente per aver disposto, l’autorità giudiziaria lettone, la continuazione della sua custodia cautelare in mancanza di ragioni pertinenti e sufficienti. Molto brevemente il ricorrente era stato condannato, nel 2013, a sette anni di reclusione per spaccio di grandi quantità di sostanze stupefacenti, ed aveva continuato tale attività anche durante la carcerazione. Ai fini della risoluzione del caso, la Corte di Strasburgo ha primariamente attinto alla sua consolidata giurisprudenza, riaffermando che la persistenza di un ragionevole sospetto è una condizione sine qua non per la validità della detenzione continuata, ma dalla prima decisione giudiziaria che ordina la detenzione non è più è sufficiente. La giustificazione, infatti, per qualsiasi periodo di detenzione, non importa quanto breve, deve essere dimostrata in modo convincente dalle autorità e deve includere alcuni specifici motivi tra cui il pericolo di fuga, il rischio di pressioni sui testimoni o di alterazione delle prove, il rischio di collusione, il rischio di recidiva, il rischio di provocare disordini pubblici e la necessità di proteggere il detenuto. Tutto quanto premesso, la Corte EDU ha osservato poi: i) che l’esistenza di un ragionevole sospetto non può di per sé giustificare la custodia cautelare ma è necessario che i tribunali nazionali forniscano motivi “pertinenti” e “sufficienti” per decidere la continuazione della detenzione del ricorrente; ii) che le richieste del ricorrente di sostituire la misura di sicurezza impostagli con una misura di sicurezza non detentiva sono state esaminate dai giudici nazionali in modo sommario, senza una reale valutazione di fatti specifici e rilevanti; iii) che nella sua decisione, il giudice nazionale si è limitato ad affermare che i motivi della detenzione non sussistevano più, senza però dare conto del motivo per il quale la liberazione condizionale del ricorrente fosse possibile in quel momento e non in una fase precedente del procedimento. È sulla base di simili motivazioni che la Corte ha ritenuto che i tribunali nazionali non hanno fornito – oltre all’esistenza di un ragionevole sospetto – ragioni pertinenti e sufficienti per giustificare la continuazione della detenzione del ricorrente, con conseguente violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione.
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