Il caso sottoposto al giudizio della Corte verte sulla mancata esecuzione di una decisione definitiva nei confronti di una società per azioni e sul presunto impedimento opposto dallo Stato convenuto all’esercizio del diritto di ricorso individuale da parte del ricorrente, il quale era stato minacciato di licenziamento qualora avesse deciso di presentare un ricorso innanzi alla Corte di Strasburgo nei
confronti della società datrice di lavoro. In particolare, la questione concerne la responsabilità dello
Stato per gli atti compiuti dall’amministratore delegato di un Ente parco, qualificato dalla Corte
alla stregua di una organizzazione governativa.
Ciò premesso, i giudici ricordano che è della massima importanza per l’efficace funzionamento del
sistema di ricorso individuale istituito dall’articolo 34 che i ricorrenti o potenziali ricorrenti possano comunicare liberamente con la Corte senza essere soggetti ad alcuna forma di pressione da parte delle autorità di ritirare o modificare le loro doglianze. In questo contesto, la
“pressione” include non solo la coercizione diretta e gli atti flagranti di intimidazione, ma anche
altri atti o contatti indiretti impropri volti a dissuadere o scoraggiare i ricorrenti dal perseguire un
ricorso previsto dalla Convenzione.
Così come riconosciuto dalla Corte, simile pressione è stata esercitata nei confronti del ricorrente il
quale era stato minacciato di licenziamento per avere espresso la volontà di adire la Corte e al
quale era stato imposto di consegnare copia di tutta la corrispondenza intrattenuta con la Corte.
Tale situazione non può che essere considerata una indebita pressione rispetto all’esercizio del
diritto al ricorso individuale di cui all’art. 34 della Convenzione.