Nel caso deciso dalla Corte EDU, la ricorrente ha lamentato – ai sensi dell’art. 10 della Convenzione – la violazione della propria libertà di espressione, ritenendo irragionevole, sotto il profilo della proporzionalità, la condanna penale inflittale dai giudici francesi per diffamazione pubblica a mezzo mail. Molto brevemente, la ricorrente aveva denunciato, tramite un messaggio di posta elettronica inviato complessivamente a sei persone interne ed esterne all’associazione presso cui era impiegata di aver subito molestie sessuali e morali da un membro di detta associazione. I giudici di Strasburgo, pur senza discostarsi dalla conclusione dei tribunali nazionali, hanno ritenuto però di dover verificare la necessità/proporzionalità dell’ingerenza e, dunque, accertare se le autorità francesi avessero operato il giusto bilanciamento tra esercizio della libertà di espressione e diffamazione. In questa direzione, essi hanno rilevato che l’e-mail contestata aveva raggiunto un numero esiguo di persone e che, pertanto, aveva prodotto solo effetti limitati sulla reputazione del colpevole. Per di più, detta e-mail aveva avuto il solo scopo di rappresentare la situazione della ricorrente senza alcun riverbero su interessi di carattere generale né sul dibattito pubblico. Sicché, alla luce di simili considerazioni, la Corte di Strasburgo ha ravvisato l’assenza di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra la limitazione del diritto alla libertà di espressione della ricorrente e lo scopo legittimo perseguito e ha dichiarato, conclusivamente, la violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
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