Con sentenza n. 46/2023, la Corte costituzionale – nel decidere sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Bari sull’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 471/1997, ove è stabilito che: «[n]ei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250» – si è pronunciata per la infondatezza della questione sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata. Per il giudice costituzionale è, infatti, possibile una lettura sistematica della norma censurata in correlazione con un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 (che prevede la possibilità di ridurre le sanzioni fino a dimezzarle). Tale soluzione, senza minare in radice l’effetto deterrente, è in grado di ricondurre entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza la sanzione prevista dalla norma censurata in riferimento a situazioni, come quella del giudizio de quo, in cui si rischia di colpire contribuenti che non rivelano affatto l’intento di evadere le imposte, avendole invece pagate sia pure omettendo di presentare la relativa dichiarazione dei redditi. Anche per le sanzioni amministrative vale, dunque, il principio di proporzionalità. La riduzione nei sensi indicati ben può essere operata già da parte dell’Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo.
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