Il ricorso contro la Repubblica dell’Azerbaigian presentato alla Corte EDU da un cittadino azero, ha per oggetto la violazione dell’art. 8 della Convenzione. In particolare, il ricorrente – caporedattore di un giornale – lamentava di essere stato sottoposto, da parte delle autorità nazionali, a intercettazione telefoniche in virtù di una decisione giudiziaria adottata in violazione del diritto interno. La disciplina nazionale, infatti, oltre a prevedere l’applicazione della misura sulla base di una decisione giudiziaria richiede l’esistenza di ragioni e motivi oggettivi e sufficienti affinché tale attività sia giustificata. Sulla base di tali circostanze, il ricorrente eccepiva quindi l’ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita privata tout court come garantito dall’art. 8 CEDU e, nella specie, che tale interferenza non avesse alcuno scopo legittimo né fosse necessaria in una società democratica. Di contro, il Governo azero sosteneva la legittimità della misura applicata conformemente alla disciplina codicistisca. La Corte EDU, investita del ricorso, ha rinviato, per i principi generali in materia di intercettazioni telefoniche, ai suoi precedenti arresti (Malone v. Il Regno Unito e Dragojević v. e Croazia), per poi accertare nel caso di specie se vi fosse violazione dell’art. 8 CEDU. Come si legge nella decisione, l’attività di intercettazione telefonica nei confronti del ricorrente si era svolta sulla base di una decisione del tribunale nazionale, ma in violazione delle regole previste. In ragione di ciò, la Corte di Strasburgo, rilevando l’esistenza dell’interferenza, ha ribadito la necessità che il provvedimento restrittivo dell’autorità nazionale sia conforme alla legge ovvero compatibile con lo stato di diritto; sia sufficientemente motivato e che l’intercettazione sia utile ai fini processuali. Nella specie, i giudici di Strasburgo hanno osservato come il ricorrente non fosse né imputato né indagato; egli non era mai stato interrogato come testimone e non aveva mai partecipato alle indagini penali in qualsiasi altra veste e il suo nominativo non compariva nel provvedimento giudiziario col quale era stata disposta l’intercettazione telefonica. Per tali motivi, la Corte ha ritenuto tutto quanto questo una grave interferenza con il diritto al rispetto della vita privata, soprattutto per il carattere vago e impreciso della decisione del tribunale risultata, in mancanza di un’adeguata dimostrazione da parte del Governo, priva di una base giuridica compatibile con la Convenzione. Per conseguenza, la Corte ha ritenuto l’ingerenza non conforme alla legge, ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione.
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