Il legislatore ha dettato una specifica disciplina per l’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio, fissando sia requisiti positivi (art. 5), i quali legittimano lo straniero alla presentazione della domanda, sia cause impeditive la cui ricorrenza impone il rigetto della domanda stessa (art. 6, comma 1). In particolare, mettendo a fuoco la disciplina scolpita nell’art. 5 della legge n. 91 del 1992, il legislatore àncora la possibilità di acquisto della cittadinanza italiana non solo al matrimonio dello straniero con un cittadino, bensì ai requisiti ulteriori della residenza legale per un determinato periodo nel territorio della Repubblica ovvero al decorso di un lasso temporale minimo dal matrimonio per i residenti all’estero, purché al momento del decreto ministeriale di accoglimento della domanda non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e se non sussista la separazione personale dei coniugi. Tuttavia, pur in presenza dei suesposti requisiti, la domanda di acquisto della cittadinanza per matrimonio non può essere accolta, laddove l’Amministrazione accerti la ricorrenza di una delle tre cause ostative elencate dall’art. 6, comma 1, della legge n. 91 del 1992, le prime due relative a sentenze penali di condanna subite dallo straniero, la terza concernente la sussistenza, nel caso specifico, “di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”. Il Collegio osserva che, già su di un piano generale, la concessione della cittadinanza italiana, cui consegue la titolarità in capo al cittadino di diritti, anche di rilievo costituzionale, non può non attingere l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento di tutte quelle attività su cui si fonda l’ordinamento democratico della Repubblica. Si impone pertanto la conclusione che il vincolo che presiede alla attività di competenza dell’Amministrazione procedente a fronte di una domanda di acquisto della cittadinanza per matrimonio è imposto in via diretta a primario presidio ed a salvaguardia dell’interesse pubblico e soltanto in via indiretta e mediata per la tutela dell’interesse del privato richiedente. Da ciò consegue che la posizione giuridica del privato non assume nella specie consistenza di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, il cui vaglio, in caso di controversia, non può che spettare al giudice amministrativo.
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