La Corte Costituzionale francese sull’art. L. 480-14 del Codice dell’urbanistica, nel testo modificato dalla legge n. 2010-788 del 12.7.2010, in materia ambientale: tra regole urbanistiche, sacralità del diritto di proprietà e buona fede del proprietario (Conseil Constitutionnel, sent. n. 2020-853 QPC, del 31.7.2020)

Il Conseil Constitutionnel, su un’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato (n. 436834 del 29.5.2020), respinge la questione prioritaria di costituzionalità sollevata in riferimento all’art. L. 421-14 del Codice dell’urbanistica, nella parte in cui è previsto che il Comune o l’E.P.C.I. (Ente pubblico di cooperazione intercomunale, un interessante fenomeno di Unione tra Comuni) «in materia di pianificazione locale può adire il tribunale di grande istanza al fine di far ordinare la demolizione o la messa in conformità di un’opera edificata o installata senza l’autorizzazione richiesta dal presente libro, in violazione di questa autorizzazione o, per le modifiche, le installazioni ed i lavori dispensati dalle formalità di cui al titolo terzo del presente codice, in violazione dell’art. 421.8. L’azione civile si prescrive in questi casi in 10 anni dal completamento dei lavori». Secondo il ricorrente queste disposizioni arrecherebbero un grave pregiudizio al diritto di proprietà, nella sua accezione di rispetto della vita privata, consacrato negli artt. 2 e 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, in quanto verrebbe concesso eccessivo valore alla violazione di una regola urbanistica con conseguente demolizione delle opere, senza, però, attribuire adeguato valore alla buona fede del proprietario ed alla possibilità di una regolarizzazione delle opere. Le suindicate
disposizioni della Dichiarazione del 1789, difatti, dopo aver dichiarato sacro ed inviolabile il diritto di proprietà, consentono, in senso parzialmente analogo all’art. 42, co. 2, della Costituzione italiana (funzione sociale della proprietà), limitazioni ma sotto la riserva che queste siano giustificate da motivi di interesse generale o pubblica necessità, ed a condizione di un preventivo indennizzo. Secondo la Corte, le evocate previsioni del Codice dell’urbanistica, nel subordinare l’esercizio dello ius aedificandi al permesso di costruire o altri titoli abilitativi, a seconda delle fattispecie (costruzione, modifica, allestimento, ed altre), rispondono a giustificate esigenze e necessità pubbliche e di
interesse generale, rivolte ad una corretta pianificazione e programmazione urbanistica. Le censure di incostituzionalità sono, dunque, da respingere, purché vengano rispettate le descritte condizioni di limitazione del diritto fondamentale di proprietà.

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