Legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024): la Corte costituzionale, nel ritenere inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale relative all’intera legge, ne ha dichiarato illegittime specifiche disposizioni (Corte cost., sent. 14 novembre – 3 dicembre 2024, n. 192)

Con la sentenza n. 192 del 2024 la Corte costituzionale ha deciso le numerose questioni di
costituzionalità poste, con separati ricorsi, dalle Regioni Puglia, Toscana, Campania e Sardegna che
hanno impugnato la legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata sia nella sua totalità, sia con
riferimento a specifiche disposizioni. Avendo ad oggetto disposizioni legislative e parametri
costituzionali comuni, la Corte ha riunito i quattro giudizi, in modo da definirli con un’unica
pronuncia. Ha, inoltre, dichiarato ammissibili gli interventi ad opponendum delle Regioni
Lombardia, Piemonte e Veneto, in quanto la legge impugnata riguarda l’assetto complessivo
dell’ordinamento regionale. Data la numerosità delle questioni di legittimità costituzionale, la
Corte le ha raggruppate in sei aree tematiche: a) questioni generali sull’interpretazione dell’art.
116, terzo comma, Cost. (punti 7 e 8 del Considerato in diritto) ; b) questioni in materia di fonti del
diritto (punti da 9 a 13 del Considerato in diritto); c) questioni relative ai livelli essenziali delle
prestazioni (LEP) (punti da 14 a 16 del Considerato in diritto); d) questioni in tema di leale
collaborazione (punti da 17 a 21 del Considerato in diritto); e) questioni in materia finanziaria (punti
da 22 a 29 del Considerato in diritto); f) altre questioni (punti 30 e 31 del Considerato in diritto). Il
Collegio ha innanzitutto proceduto all’interpretazione dell’art. 116, co. 3, Cost. nel quadro
complessivo della forma di Stato italiana, sottolineando quanto l’autonomia regionale (ex artt. 5,
117, commi 3 e 4, 118, 119 e 116, co. 3, Cost.) sia connotato fondamentale di quest’ultima. Ed
invero, lo stesso art. 5 Cost. definisce la Repubblica «una e indivisibile» in quanto basata sul
riconoscimento dell’unità del popolo, a cui l’art. 1, secondo comma, Cost. attribuisce la titolarità
della sovranità. Non può certo negarsi che qualsiasi sistema regionale ha in sé degli elementi di
competizione tra le Regioni, perché dà modo a ciascuna di esse, nell’ambito delle attribuzioni
costituzionali, di seguire politiche differenti nella ricerca dei migliori risultati. Tuttavia,
l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la
qualità delle prestazioni pubbliche, non può spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le
Regioni e tra Regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.),
l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, co. 2, lettera m, Cost.) e
quindi la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato –, il
cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia. Il popolo e la nazione sono unità
non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che
siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di
sovranità (sentenza n. 365 del 2007). L’unità del popolo e della nazione postula, infatti, l’unicità
della rappresentanza politica nazionale. A questo punto la Corte rileva che, sul piano istituzionale,
questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate
esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai Consigli regionali. E
infatti, solo la sede parlamentare consente un confronto trasparente con le forze di opposizione e
permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni
che riguardano la vita di tutti i cittadini. Il Parlamento deve, inoltre, tutelare le esigenze unitarie
tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione. Per quanto
riguarda la ripartizione dei compiti, il collegamento tra l’unità e indivisibilità della Repubblica, da
una parte, e l’autonomia delle regioni accresciuta grazie alla differenziazione di cui all’art. 116,
terzo comma, Cost., dall’altra, è assicurato dal principio di sussidiarietà. Tale principio esclude un
modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica
funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto
locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione. La preferenza va al livello
più prossimo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, ma il principio può spingere anche verso il
livello più alto di governo. Ai fini dell’attribuzione della funzione, contano le sue caratteristiche e il
contesto in cui la stessa si svolge. Poiché il principio di sussidiarietà opera attraverso un giudizio
di adeguatezza, esso non può che riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può
riguardare intere materie. La funzione è un insieme circoscritto di compiti omogenei affidati dalla
norma giuridica ad un potere pubblico e definiti in relazione all’oggetto e/o alla finalità. A
ciascuna materia afferisce, invece, una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali
l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto,
mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini. L’art. 116,
terzo comma, Cost. va interpretato coerentemente con il significato del principio di sussidiarietà, e
pertanto la devoluzione non può riferirsi a materie o ad ambiti di materie, ma a specifiche
funzioni. Il tenore letterale della disposizione conferma tale conclusione. Essa, infatti, fa
riferimento alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia «concernenti le materie»,
lasciando intendere che il trasferimento non riguarda le materie ma le singole funzioni concernenti
le materie. Poiché tale disposizione prevede l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia, senza
distinguere la natura legislativa o amministrativa della devoluzione, quest’ultima potrà riguardare
solamente funzioni amministrative o legislative, oppure tanto le funzioni legislative che quelle
amministrative concernenti il medesimo oggetto. Il principio di sussidiarietà richiede che la
ripartizione delle funzioni, e quindi la differenziazione, non sia considerata ex parte principis, bensì
ex parte populi. In questa prospettiva, l’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un
determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo a tre criteri che trovano
fondamento nella Costituzione: l’efficacia e l’efficienza nell’allocazione delle funzioni e delle
relative risorse, l’equità che la loro distribuzione deve assicurare e la responsabilità dell’autorità
pubblica nei confronti delle popolazioni interessate all’esercizio della funzione. Date tali premesse,
la Corte rileva che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, c. 3 Cost., alle quali
afferiscono funzioni il cui trasferimento è, “in linea di massima”, difficilmente giustificabile
secondo il principio di sussidiarietà: commercio con l’estero, tutela dell’ambiente, la “produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, nonché quelle dei “porti e aeroporti”,
“professioni”, “ordinamento della comunicazione”, le “norme generali sull’istruzione”.
Sulla base di tali considerazioni il Collegio, pur ritenendo inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’intera legge n. 86/2024 (sebbene, infatti, l’art. 116 non richieda
obbligatoriamente una legge quadro, nulla vieta al legislatore di adottarla, allo scopo di guidare gli
organi competenti a svolgere il negoziato e di garantire «un più ordinato e coordinato processo di
attuazione»), ha ravvisato l’incostituzionalità di molteplici profili del medesimo testo legislativo: – l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione non possono trasferire
materie o ambiti di materie, bensì solo specifiche funzioni legislative e amministrative alla luce del
richiamato principio di sussidiarietà; – la delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) risulta priva di idonei criteri direttivi, venendo conseguentemente rimessa la rispettiva decisione nelle mani del Governo e limitando il ruolo costituzionale del Parlamento. La determinazione dei LEP, in quanto implicante “una delicata scelta politica”, richiede norme chiare per garantire un equilibrio tra uguaglianza e autonomia; – non può essere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP: in particolare, ex art. 3 Cost., la Corte ritiene “intrinsecamente contraddittorio e dissonante” rispetto al sistema costituzionale delle fonti, la determinazione dei
LEP con delega legislativa, nel momento in cui si prevede che i futuri decreti legislativi siano
successivamente modificati per mezzo di un atto sub-legislativo, cioè con un d.P.C.m.
Un tale meccanismo, diversamente da quello di delegificazione, configura il d.P.C.m. come una
fonte primaria, essendo esso abilitato a modificare un decreto legislativo per forza propria. – la possibile modifica, con decreto interministeriale, delle aliquote della compartecipazione al
gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il
fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito, potrebbe in realtà premiare proprio le
regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle
funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento
delle stesse funzioni; – altri profili di incostituzionalità sono la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente
indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica nonché l’estensione della legge n.
86 del 2024, e dunque dell’art. 116, co. 3, Cost. alle Regioni a statuto speciale, che invece, per
ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro Statuti
speciali.
La Corte ha, poi, articolato alcuni profili di illegittimità costituzionale in via conseguenziale : – l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo; – la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”): si riconosce alle Camere un potere di emendamento e, dunque, la conseguente rinegoziazione dell’intesa; – la distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP” va intesa nel senso che, per la materia legislativamente intesa come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non dovranno incidere sui diritti civili e sociali; – viene dichiarata incostituzionale la norma che consente l’adeguamento delle aliquote di compartecipazione al gettito di tributi erariali sulla base della spesa storica. Il ricorso al criterio della spesa storica viene infatti giudicato contrastante con i principi di efficienza e responsabilità finanziaria, incentivando potenzialmente gestioni inefficaci. Si sottolinea l’importanza di garantire l’uguaglianza e l’efficienza finanziaria, sollecitando una compiuta attuazione del federalismo fiscale; – infine, la clausola di invarianza finanziaria richiede che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari. Spetta, dunque, al Parlamento colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni di incostituzionalità, non venendo meno, d’altra parte, la competenza della Corte costituzionale a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, nel caso in cui venissero
impugnate con ricorso in via principale da altre Regioni o in via incidentale.

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