Nel corso di questa Sezione della Rivista dedicata alle decisioni del Conseil Constitutionnel sono
state edite, sino ad oggi, decisioni QPC, relative, cioè, a Questions prioritaires de constitutionnalité;
decisioni DC, Contrôle de constitutionnalité des lois ordinaires, lois organiques, des traités, des règlements
des Assemblèes; decisioni L (legge), Déclassement legislatif; decisioni, non frequenti, D, Déchéance,
inerenti alla competenza elettorale attribuita al Conseil constitutionnel di pronunciarsi sulla
déchéance d’un parlementaire dont l’inéligibilité se révèle postérieurement à son élection, una competenza
particolarmente significativa che non attiene al controllo sulla produzione normativa, dunque, del
diritto, bensì al regolare svolgimento della vita democratica delle istituzioni. Appartengono a questa
categoria anche le decisioni I, Incompatibilité, relative, cioè, al potere di statuire sulle incompatibilités
parlementaires e, ove necessario, sulla démission d’office dell’eletto; le decisioni AN, Élection à
l’Assemblée nationale / SEN – Élection au Sènat; nonché le qui annotate decisioni PDR, Élection
présidentielle. Le decisioni del Conseil Constitutionnel, classificate per tipo con sigle differenti a
seconda della natura della procedura e degli effetti della decisione, non si esauriscono nelle
suindicate tipologie, a queste si aggiungono ulteriori e diverse possibilità decisionali del Conseil: LP,
Loi du pays de Nouvelle-Calédonie; LOM, Compétences outre-mer; OF, Obligations fiscales; ELEC, Divers
élections; FNR, Fins de non-recevoir; REF, Référendum; Art. 16, Décisions Avis de l’article 16; ORGA,
Décisions intéressant le fonctionnement du Conseil Constitutionnel; AUTR, Autres textes et décisions. La
sentenza qui proposta riguarda l’ulteriore tipologia di decisione RIP, Référendum d’initiative partagée.
Precisamente, la decisione interviene in merito ad una proposta di legge volta a riformare l’accesso alle
prestazioni sociali per gli stranieri, con una valutazione negativa dell’art. 1 del disegno di legge. L’art.
11 della Costituzione e le leggi organiche n. 58-1067 del 7 novembre 1958 e n. 2013-1114 del 6 dicembre
2013 prevedono una particolare procedura attraverso la quale, in presenza di determinati quorum
parlamentari ed elettorali, è possibile la proposizione di un referendum su un disegno di legge, previa
verifica da parte della Corte, sia in relazione al rispetto del quorum di presentazione, almeno un
quinto dei membri del Parlamento, sia in merito al suo oggetto, che dovrà rispettare le condizioni
previste dall’articolo 11, comma 3 e 6, della Costituzione, ed in ogni caso non dovrà essere contrario
ad alcuna disposizione costituzionale. La Corte, nella fattispecie concreta, ha riscontrato il rispetto
del quorum (1/5 dei membri del Parlamento) e dell’art. 11 cost., nella misura in cui si tratta di una
riforma relativa alla politica sociale della Nazione. Quanto, invece, alla conformità alla Costituzione,
ha concluso negativamente, dopo aver richiamato l’attenzione sulle disposizioni di cui ai commi 10
e 11 del preambolo della Costituzione del 1946, che impongono l’attuazione di una politica di solidarietà
nazionale a favore delle persone svantaggiate. Il legislatore ha, certamente, il potere di adottare
disposizioni specifiche nei confronti degli stranieri, ma nel rispetto delle libertà fondamentali e dei
valori di cui in Costituzione, riconosciuti in favore di tutti coloro che risiedono nel territorio della
Repubblica, compresi gli stranieri che vi risiedano stabilmente. Libertà e valori da conciliare, però,
con la tutela delle ragioni di ordre pubblic, anch’esso espressione di un «obiettivo di valore costituzionale». Le disposizioni costituzionali, rileva la Corte, non impediscono di condizionare
benefici prestazionali sociali per gli stranieri, che regolarmente soggiornano sul territorio, a
determinati requisiti di durata del «soggiorno» o allo svolgimento di un’attività lavorativa. Tuttavia,
questa «durata» non può essere tale da privare gli stranieri di ogni garanzia giuridica. L’art. 1 della
proposta di legge non sembra rispettare queste «garanzie», in quanto, nel modificare diverse
disposizioni del code de la construction et de l’habitation, del code de la sécurité sociale, del code de l’action sociale et des familles, prevede che gli stranieri legalmente residenti, ma che non sono cittadini
dell’Unione europea, non possono beneficiare del diritto all’abitazione, dell’assistenza abitativa
(«aide personnelle au logement»), prestazioni familiari e assegni personalizzati di sostegno economico
finalizzati all’autonomia, se non sono in grado di dimostrare un periodo minimo di residenza stabile
e regolare nel Paese oppure l’adesione ad un regime previdenziale obbligatorio per un’attività
professionale svolta nel Paese. Il Conseil ritiene che condizionare la fruizione di simili prestazioni
sociali, alcune delle quali possono anche avere carattere contributivo, agli stranieri legalmente
residenti che non sono cittadini dell’Unione europea, ad una condizione di residenza della durata di
almeno cinque anni o l’adesione ad un sistema di previdenza collegato allo svolgimento di attività
professionale della durata di almeno trenta mesi, sia irragionevole perché sproporzionato. Per queste
ragioni, conclude per la contrarietà alla Costituzione. Nel contesto del pluralismo o, ove si preferisca,
del multiculturalismo contemporaneo sembra assumere una dimensione postmoderna il principio di
eguaglianza, inteso come complesso di norme sulla diversità, ma al fine di affermare una piena,
totale ed unitaria «cittadinanza sociale», così da includere tutti nello Stato sociale. Nel fenomeno
multiculturale, i diritti appaiono indivisibili e rendono, dunque, necessario un approccio unitario e
non di separazione. Questo processo inclusivo appare irreversibile nell’ambito di una cittadinanza
sociale ed economica da realizzare attraverso politiche sociali, ossia interventi pubblici che
assicurino un’equa distribuzione sociale delle risorse. Diversamente, risulterebbe svuotata di ogni
effettivo significato, con buona pace del troppo spesso solo declamato principio di solidarietà. Il
comma 12 del preambolo della Costituzione francese del 1946 impone di assicurare «all’individuo e
alla famiglia le condizioni necessarie al loro sviluppo»; ed il comma 13, «garantisce a tutti, e
specialmente al fanciullo, alla madre e ai vecchi lavoratori, la protezione della salute, la sicurezza
materiale, il riposo e le vacanze. Ogni essere umano che, in dipendenza dell’età, dello stato fisico o
mentale o della situazione economica, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha il diritto di ottenere
dalla collettività adeguati mezzi di esistenza». Insomma, la «Nazione proclama la solidarietà» e, fa
eco l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: «ogni società in cui la
garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione».