Il Consiglio di Stato interviene nell’ambito dell’assegnazione di un “riconoscimento” indicativo del rispetto della legalità da parte delle imprese richiedenti (c.d. rating di legalità) attribuito dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Nella fattispecie, il ricorrente aveva impugnato il provvedimento di revoca del rating intervenuto a seguito della emissione di una sentenza di condanna dell’amministratore delegato e, dunque, in ragione del venir meno anche di uno solo dei (tre) requisiti previsti dall’art. 2, comma 2, del Regolamento (delibera n. 27165 del 15.5.2018). Contrariamente a quanto asserito dall’appellante – ritiene il Collegio di Palazzo Spada – il legislatore non ha previsto la coesistenza di tutte e tre le condizioni pregiudizievoli per il verificarsi della condizione ostativa al rilascio del rating; e ciò non viola il diritto di difesa dell’imputato ed il libero esercizio dell’impresa, tutelati dagli articoli 27 e 41 della Costituzione. Ed infatti, si è osservato, da un lato, che il testo della norma appare chiaro nell’individuare le condizioni di accesso al rating di legalità, non ponendosi in tensione con i principi di certezza e di libertà di impresa; dall’altro, che la ratio sottesa all’istituto del rating di legalità è essenzialmente premiale, e non sanzionatoria, essendo volta ad incentivare le imprese al rispetto della legislazione e al rispetto di prassi conformi a canoni etici, non potendo pertanto venire in considerazioni principi che attengono più propriamente alla punibilità, sotto il profilo penale, delle persone fisiche.
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