La Corte Costituzionale francese ritorna ad occuparsi della problematica tutela del diritto di disporre liberamente del proprio patrimonio da parte di persone vulnerabili, una difficile sintonia tra potere di disposizione e presunzionidi vulnerabilità: tra atti di liberalità e sospette gratuità Art. 909, comma 1, del Code civil (Conseil Constitutionnel, sent. n. 2022-1005 QPC, del 29 luglio 2022)

Il Conseil Constitutionnel, su ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione (première chambre civile, n. 521 del 24 maggio 2020), è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 909 del Code civil, nel testo risultante dalla legge n. 2007-308 del 5 marzo 2007 recante riforma delle disposizioni in materia di protezione giuridica dei maggiorenni: «gli appartenenti alle professioni mediche e farmaceutiche, nonché gli ausiliari sanitari che hanno prestato assistenza a un persona durante la malattia di cui muore non possono beneficiare di disposizioni tra vivi o testamentarie che essa avrebbe fatto in loro favore durante il corso della malattia». La questione di costituzionalità è posta dalla Corte rimettente in questi termini: se l’art. 909, comma 1, del Code civil, nella misura in cui abbia come effetto quello di «ridurre il diritto di disporre liberamente dei propri beni» da parte della persona assistita durante la malattia che ne provoca la morte, «senza che ne sia riscontrata l’inabilità», possa «pregiudicare in modo sproporzionato il diritto di proprietà tutelato dall’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789». Si tratta di una complessa previsione normativa che vieta a coloro che prestano assistenza sanitaria in favore di persone vulnerabili, specificamente persone gravemente malate, di ricevere da parte di queste liberalità attraverso donazioni o disposizioni testamentarie. Si rimprovera alla disposizione normativa di essere eccessivamente ampia, vietando al paziente di gratificare coloro lo hanno curato, senza alcuna valutazione circa l’effettiva «capacità della persona malata di effettuare liberalità» e senza alcuna possibilità di provare l’«assenza di vulnerabilità o dipendenza», con conseguente pregiudizio al loro diritto di disporre liberamente del proprio patrimonio e, dunque, al diritto di proprietà. Osserva, in proposito, il Conseil che è consentito al legislatore di porre delle «conditions d’exercice» al diritto di proprietà dei privati, per effetto dell’art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, purché eventuali limitazioni rispondano ad esigenze costituzionali o siano giustificate nell’interesse generale e non siano eccessivamente sproporzionate rispetto agli obiettivi perseguiti. Le disposizioni normative di cui si discute vietano agli appartenenti ad alcune professioni sanitarie di ricevere liberalità da parte dei pazienti che hanno in cura e che sono deceduti a causa della malattia per la quale vengono assistiti. Il divieto di liberalità di cui si discute e la conseguente limitazione della capacità di disposizione della persona malata, osserva il Conseil, è strettamente circoscritto alle liberalità effettuate durante il corso della grave e specifica malattia contemplata e che ne determinerà il decesso; e riguarda, altrettanto specificamente, coloro che hanno prestato cure mediche al paziente in relazione alla specificata malattia. Secondo il Conseil il divieto si giustifica in quanto rivolto a proteggere il paziente che si trova in una particolare condizione di vulnerabilità, che potrebbe esporlo al rischio di abusi da parte di coloro che vi hanno prestato assistenza, che potrebbero approfittare della condizione di faibless, traendo ingiusti vantaggi: un «risque de captation d’une partie de leurs biens par ceux qui leur prodiguaient des soins. Il a ainsi poursuivi un but d’intérêt général». Questo interesse di protezione assume un valore generale e sovraordinato e rende, di conseguenza, proporzionato il divieto in relazione agli obiettivi perseguiti. La disposizione normativa censurata risulta, dunque, conforme alla Costituzione. Sembra utile ricordare un’altra decisione del Conseil Constitutionnel in argomento, sent. n. 2020-888 QPC, del 12 marzo 2021, edita in questa Rivista nella Sezione di riferimento e resa in merito all’Art. L. 116-4 del Codice dell’azione sociale e delle famiglie. Con questa decisione n. 2020-888, il Conseil dichiarò, invece, l’incostituzionalità della disposizione normativa che, in maniera eccessiva e non proporzionata (sic! ragionevole), vietava a coloro che prestano assistenza domiciliare in favore di persone vulnerabili (persone anziane, diversamente abili, o per altre ragioni), di rendersi acquirenti di beni o cessionari di diritti appartenenti a queste. In questa diversa situazione e contesto normativo, secondo il Conseil, la circostanza che la persona sia anziana o diversamente abile o abbia altre ragioni per ricevere assistenza domiciliare, di per sé non può essere considerata indice di un’alterazione della sua capacità. Così, pure le mansioni o compiti di assistenza domiciliare non sono, di per sé, indice di incapacità del soggetto, in considerazione anche della loro variabilità e durata spesso temporanea. Il divieto operava attraverso una presunzione assoluta di vulnerabilità, non essendo prevista la possibilità di provare il contrario, ossia l’assenza di vulnerabilità, con la conseguente incostituzionalità della disposizione del Codice dell’azione sociale e delle famiglie.

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