La Corte Costituzionale francese su alcune disposizioni dell’Ordinamento della magistratura: tra regole disciplinari, principi di pubblicità, esigenze cautelari e diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza. Art. 50 dell’ordinanza n. 58-1270 del 22.12.1958, modificato dalla legge organica n. 2010-830 del 22.7.2010 (Conseil Constitutionnel, sent. n. 2021-922 QPC, del 25.6.2021)

Un tema di scottante attualità, questo della responsabilità dei magistrati, che invoca concrete ed efficaci riforme sulle «sfere di giustizia» (nel ricordare la significativa proposta «alternativa», rispetto alle tradizionali teorie della giustizia, di Michael Walzer, Sfere di giustizia (1983), trad. it., Milano, 1987, sulla scia delle fondamentali riflessioni di Rawls). Il Conseil Constitutionnel, su ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato (n. 449438 del 28.4.2021), è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 50 dell’Ordinamento della magistratura, nella parte in cui attribuisce al Ministro della Giustizia, investito di una denuncia o segnalazione circa fatti che possano dar luogo a procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato, il potere di proporre, in caso di urgenza e previa consultazione con il superiore gerarchico, al Consiglio Superiore della Magistratura di vietare al magistrato, oggetto di indagine amministrativa o penale, l’esercizio delle sue funzioni fino alla decisione definitiva del procedimento disciplinare. Analogo potere compete ai primi presidenti di Corte d’appello e ai presidenti del Tribunale Superiore d’appello. Il C.S.M. ha l’onere di pronunciarsi entro quindici giorni successivi al deferimento della questione disciplinare. La decisione di interdizione temporanea dalle funzioni, stabilisce l’art. 50, 2° cpv., «non può essere resa pubblica» e «non comporta privazione del diritto al trattamento». Se alcuna decisione interviene nel termine di due mesi, la misura dell’interdizione temporanea dall’ufficio cessa automaticamente. Il ricorrente sostiene che tali disposizioni violino il principio di pubblicità delle udienze dinanzi alle giurisdizioni civili e amministrative in quanto impediscono, senza eccezioni, la pubblicità delle audizioni dinanzi al C.S.M. relative a procedimenti di interdizione temporanea dagli uffici dei magistrati. Ciò impedirebbe, altresì, di venire a conoscenza della giurisprudenza in materia el C.S.M., quale organo, in queste ipotesi, giurisdizionale. Oggetto del giudizio di costituzionalità è il co. 12 dell’art. 50, nella parte in cui vieta di rendere pubbliche dette udienze. Nel contesto della vicenda è considerato legittimo l’intervento dell’associazione dei magistrati («union syndacale des magistrats») nella misura in cui sia strettamente circoscritto all’oggetto della questione prioritaria di costituzionalità. Sorge, altresì, questione di ricevibilità della questione di costituzionalità, non potendo essere sollevate questioni la cui conformità a Costituzione è già stata dichiarata dalla Corte, nel caso dell’art. 50 in esame già si era pronunciata la decisone del 19.7.2010 della Corte. Tuttavia, la questione è, nel caso specifico, considerata ricevibile in quanto la Corte si era già rideterminata sulla questione con altra precedente decisione del 21.3.2019, in merito alla portata degli artt. 6 e 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: la legge «è uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca» (così, l’art. 6); ed inoltre, «ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione». Da questi sovraordinati principi deriva il principio di pubblicità delle udienze dinanzi alle giurisdizioni civili e amministrative. Soltanto il legislatore ha il potere di introdurre deroghe a questo principio, purché giustificate nell’interesse pubblico generale o da circostanze specifiche inerenti alla natura dell’istanza o della procedura, purché ragionevoli e proporzionali in relazione all’obiettivo perseguito. La mens legis del divieto di rendere pubbliche le udienze disciplinari dinanzi al C.S.M., in relazione ai procedimenti di interdizione temporanea dalle funzioni, trova, secondo la Corte, fondamento nell’esigenza di non arrecare inutilmente pregiudizio alla funzione giurisdizionale sino a che le circostanze non siano state definitivamente accertate e stabilite. Note le insofferenze in argomento. Inoltre, secondo la Corte, la decisione di interdizione temporanea all’esercizio delle funzioni non avrebbe natura di sanzione punitiva, anche in considerazione del fatto che non statuisce ancora nel merito degli addebiti disciplinari mossi al magistrato, avendo, appunto, natura cautelare, possibile, cioè, nei casi d’urgenza o periculum. La misura, difatti, ha efficacia sino alla decisione definitiva. Con l’ulteriore significativo rilievo che detta misura cautelare è destinata ad essere automaticamente priva di effetti ove il C.S.M., come indicato, non si pronunci nel termine di due mesi, per comprensibili esigenze di bilanciamento di opposti interessi. Il Conseil conclude, dunque, per la conformità a Costituzione della disposizione normativa «incriminata».

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