La Corte Costituzionale francese sulla natura giuridica di alcune disposizioni degli artt. 11 e 12-1 della legge n. 71-1130, del 31.12.1971, recante riforma di alcune professioni giudiziarie e giuridiche: il «liquido» rapporto tra libertà e Costituzione. (Conseil Constitutionnel, sent. n. 2021-292 L, del 15.4.2021)

L’annotata decisione del Conseil Constitutionnel n. 2021-292 L appartiene alla categoria del Déclassement legislatif ed è classificata con la lettera L (legge): l’art. 37, co. 2, della Costituzione francese prevede che i testi di forma legislativa successivi all’entrata in vigore della Costituzione non possono essere modificati con decreto, a meno che il Consiglio costituzionale, su richiesta del Primo Ministro, abbia dichiarato che detti testi legislativi hanno natura regolamentare. Queste decisioni (L) sono inerenti al controllo sul rispetto delle attribuzioni regolamentari del Governo (v. artt. 37 e 41, co. 2, Cost.), dunque, al riparto di competenze tra potere legislativo e potere regolamentare. Nell’ambito della fattispecie concreta è richiesto al Conseil di pronunciarsi sulla natura giuridica del riferimento normativo alle parole «une maîtrise» (laurea magistrale), che compare nel co. 2 dell’art. 11 della l. n. 71-1130 del 21.12.1971, nonché delle parole «18 mesi», di cui al co. 1 dell’art. 12, delle parole «che non può essere inferiore a 2 anni», di cui al co. 1 dell’art. 12-1, e di alcune ulteriori disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo. Il Conseil muove, in primo luogo, riferimento all’art. 34 ella Costituzione, per il quale «la legge determina i principi fondamentali (…) delle obbligazioni civili e commerciali». Rientrano nel contesto dei principi fondamentali di simili obbligazioni le disposizioni che pongono in discussione le «condizioni essenziali di esercizio di una professione o di un’attività economica». Secondo il citato art. 34 Cost., «la legge fissa le regole concernenti (…) le garanzie fondamentali concesse ai cittadini per l’esercizio delle libertà pubbliche». Assume, di conseguenza, valore il riferimento all’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, per il quale: «ogni società, nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione». Il «diritto alla difesa» è assicurato attraverso questa fondamentale disposizione costituzionale che, si osserva in maniera significativa, sembra segnare una «cesura netta e inarrestabile tra constitution ancienne e constitution nouvelle», sotto l’influenza, specialmente, del Sieyés (il riferimento è tratto da B. Sordi, Diritto pubblico e diritto privato. Una genealogia storica, Bologna, 2020, p. 69). Per effetto della citata legge del 31.12.1971, la professione di avvocato dispone, «salvo alcune eccezioni», del «monopolio dell’assistenza e della rappresentanza in giudizio» della persona. Ne discende che appartiene al legislatore stabilire le «condizioni di accesso» alla professione, al fine di garantire il rispetto dei diritti di difesa. Viene, altresì, in rilievo l’esercizio di libertà pubbliche del cittadino. La previsione, che richiede la necessità della laurea magistrale («une maîtrise») «en droit», costituisce condizione minima di verifica dell’attitudine di colui che aspira all’esercizio della professione forense e, dunque, condizione minima di accesso alla professione; ed è rivolta alla tutela dei suindicati valori costituzionali. Ne discende la natura legislativa della disposizione. Ha eguale natura legislativa anche la disposizione che prevede la condizione del tirocinio professionale minimo, che può essere compiuto dopo aver superato un esame di accesso a un Centro regionale di formazione professionale, che comprende una formazione teorica e pratica della durata minima di 18 mesi, all’esito della quale è rilasciato un «certificato di idoneità all’esercizio della professione di avvocato». Ha, invece, natura regolamentare la disposizione di cui al co. 1 dell’art. 12-1, che prevede la possibilità per gli avvocati, che dimostrino una pratica professionale continua in un determinato settore specialistico, stabilita con decreto del Consiglio di Stato nella durata «non inferiore a due anni», di ottenere un certificato di specializzazione da parte del Consiglio Nazionale Forense. A tal fine, il co. 2 dell’art. 12-1 prevede che, «sulla base di un fascicolo costituito dall’interessato», una giuria decide all’esito di un «colloquio», che prevede l’esposizione di una fattispecie concreta di riferimento professionale («une mise en situation professionnelle»). Si tratta di disposizioni, di cui si richiede il declassamento, che non mettono in discussione le condizioni essenziali per l’esercizio della professione di avvocato, né le garanzie fondamentali che consentono di assicurare il rispetto dei diritti di difesa, né altri principi o regole posti dalla Costituzione nel dominio della legge. Esse hanno, quindi, natura normativa nel senso di regolamentare. Infine, il co. 3 dell’art. 12-1 consente ai titolari di un dottorato in giurisprudenza di accedere direttamente alla formazione teorica e pratica prevista dall’articolo 12, senza dover sostenere l’esame per l’accesso al Centro regionale di formazione professionale per avvocati. Anche queste disposizioni, che riguardano solo i termini e le condizioni di accesso alla formazione preliminare obbligatoria per l’esercizio della professione di avvocato, non mettono in discussione alcun principio fondamentale o altra regola che l’art. 34 della Costituzione pone nel dominio della legge. Di conseguenza, hanno natura regolamentare.

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