La Corte EDU si è pronunciata sul diritto alla libertà di religione. Il caso è quello di un detenuto che ha sostenuto che le autorità del carcere nel quale si trovava non hanno riconosciuto la sua conversione all’ISLAM, continuando a servirgli pasti contenenti carne di maiale, in barba ai precetti della sua religione. Il governo ha affermato che in base alla legislazione, le persone che dichiarino un’affiliazione religiosa devono dimostrarlo mediante un documento rilasciato dall’organizzazione religiosa pertinente. Il ricorrente, da parte sua, ha sostenuto che l’obbligo di presentare un documento scritto emesso dall’autorità religiosa del nuovo culto è contrario alle disposizioni della Convenzione, sostenendo inoltre che era impossibile per lui ottenerlo in quanto detenuto. La Corte ha ricordato che, come sancito dall’art. 9 Conv., la libertà di pensiero, di coscienza e di religione è uno dei fondamenti di una società democratica. Nella dimensione religiosa, questa libertà è uno degli elementi più essenziali dell’identità dei credenti e della loro concezione di vita. Nel caso di specie la Corte ha esaminato la causa alla luce degli obblighi positivi in capo allo Stato. Innanzitutto ha rilevato che la libertà di cambiare religione o credo è garantita dallo stesso art. 9 e che i detenuti possono dichiarare la loro appartenenza religiosa senza la necessità di un documento rilasciato dall’organizzazione. Per la Corte i tribunali nazionali non hanno esaminato il contesto della richiesta e, ritenendo che non abbiano soddisfatto in misura ragionevole gli obblighi positivi per quanto riguarda i pasti serviti in prigione al richiedente, ha dichiarato che vi è stata una violazione dell’art. 9 Conv.
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