La CEDU su custodia cautelare di giornalisti e dirigenti di un quotidiano turco (CEDU, sez. II, sent. 10 novembre 2020, ric. n. 23199/17)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di dieci cittadini turchi, all’epoca dei fatti giornalisti del quotidiano Cumhuriyet o dirigenti della Fondazione Cumhuriyet (azionista principale della società editrice del quotidiano), sottoposti a custodia cautelare, nel novembre 2016, in quanto sospettati di
svolgere attività di promozione e diffusione di propaganda per conto di organizzazioni terroristiche per il tramite della suddetta testata giornalistica. In varie date, i ricorrenti presentavano istanze di liberazione e opposizione a tali provvedimenti restrittivi della libertà personale, istanze tutte respinte. Nell’aprile 2017, l’ufficio del pubblico ministero di Istanbul presentava un atto d’accusa contro i dieci ricorrenti presso la 27a Corte d’assise di Istanbul, sostenendo che, nei tre anni precedenti il tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, la posizione editoriale di Cumhuriyet fosse cambiata a causa dell’influenza dei ricorrenti, in contrasto con i principi editoriali seguiti dal quotidiano da 90 anni. I procedimenti penali a carico di otto dei ricorrenti (condannati dalla Corte d’assise di Istanbul) sono
ancora pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione. Due ricorrenti sono, invece, stati assolti dalla 27a Corte d’assise di Istanbul (Turhan Günay, nell’aprile 2018, e Ahmet Kadri Gürsel, nel 2019). Nel luglio 2017, a seguito di un’udienza, la Corte d’assise di Istanbul ordinava il rilascio di sette dei
ricorrenti, mentre il rilascio dei restanti tre ricorrenti veniva disposto rispettivamente a settembre 2017 (Ahmet Kadri Gürsel), marzo 2018 (Mehmet Murat Sabuncu) e aprile 2018 (Akın Atalay). Nel frattempo, nel dicembre 2016, i ricorrenti avevano presentato istanze individuali presso la Corte costituzionale, adducendo una violazione del loro diritto alla libertà e alla sicurezza, nonché del loro diritto alla libertà di espressione e di stampa. La Corte costituzionale aveva riscontrato una violazione di tali diritti solo nel caso di Turhan Günay (gennaio 2018) e Ahmet Kadri Gürsel (maggio
2019), non anche in relazione ai restanti otto ricorrenti (maggio 2019).
I ricorrenti, quindi, decidevano di adire la Corte Edu, denunciando molteplici violazioni di diritti garantiti dalla Cedu: art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), § 1 e § 4; art. 10 (libertà di espressione); art. 18 (limiti all’applicazione delle restrizioni ai diritti). La Corte Edu, si è pronunciata preliminarmente sulla ricevibilità della domanda. La Corte ha osservato che la Corte costituzionale turca aveva riscontrato una violazione del diritto
alla libertà e sicurezza della persona in ordine a Turhan Günay e Ahmet Kadri Gürsel e anche una violazione della libertà di espressione e di stampa, in relazione a quest’ultimo. Di conseguenza, quei ricorrenti non potevano più rivendicare lo status di vittima rispetto a tali fatti, donde
l’inammissibilità della loro richiesta su tali punti, ad eccezione delle doglianze ai sensi dell’art. 5 §4 della Convenzione (diritto a un rapido controllo della legittimità della detenzione), relative alla durata dei procedimenti innanzi alla Corte costituzionale. Nel merito, in relazione all’art. 5 § 1 (diritto alla libertà e alla sicurezza), doglianza sollevata da otto
ricorrenti, la Corte ha ritenuto che, anche ipotizzando che tutti gli articoli di giornale citati dalle autorità nazionali potessero essere attribuiti ai ricorrenti, questi ultimi non potevano su tale base essere ragionevolmente sospettati, al momento della loro messa in stato di fermo, dei reati di
diffusione di propaganda per conto di organizzazioni terroristiche o di adesione a tali organizzazioni. In altre parole, i Giudici di Strasburgo hanno ritenuto che il sospetto a carico dei ricorrenti non avesse raggiunto il livello minimo di ragionevolezza richiesto. Analogamente, le presunte prove, aggiunte al fascicolo del caso dopo l’arresto dei ricorrenti, in particolare nell’atto di accusa e durante la detenzione dei medesimi, non costituivano fatti o informazioni idonei a far sorgere altri sospetti che giustificassero la continuazione della detenzione preventiva. In particolare, i Giudici di Strasburgo hanno qualificato gli atti per i quali i ricorrenti erano stati
giudicati penalmente responsabili come meri atti di esercizio delle libertà della Convenzione, non volti a sostenere l’uso della violenza e del terrore nella sfera politica, né espressivi di un desiderio da parte dei ricorrenti di contribuire agli obiettivi illegali delle organizzazioni terroristiche. In ordine poi alla denunciata violazione dell’art. 5 § 4 (diritto a un rapido controllo della legittimità della detenzione), proposta da tutti i ricorrenti, la Corte ha osservato che i periodi di detenzione (da un massimo di 16 mesi ad un minimo di sette mesi e due giorni) si erano svolti durante lo stato di
emergenza (proclamato a luglio 2016 e revocato a luglio 2018). La Corte ha notato che i ricorsi dei ricorrenti alla Corte costituzionale erano stati complessi, complessità acuita dall’eccezionale carico di lavoro che il giudice costituzionale aveva dovuto affrontare durante lo stato di emergenza. Di
conseguenza, secondo i Giudici di Strasburgo i tempi del riesame da parte della Corte Costituzionale, che certo non avrebbero potuto qualificarsi come “rapidi” in un contesto ordinario, nelle circostanze peculiari del caso di specie possono essere giustificati, escludendo la violazione dell’art 5 § 4 della Convenzione. In relazione alla violazione dell’art. 10 (libertà di espressione), denunciata da otto ricorrenti, la Corte ha ritenuto che la custodia cautelare disposta a carico dei ricorrenti nel contesto di procedimenti penali attivati nei loro confronti, per reati che comportano una pena dura e direttamente legati alla loro attività di giornalisti, in assenza di prove concrete sul punto (come già argomentato sopra), costituisca una illegittima interferenza con l’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione, in quanto non prescritta dalla legge: infatti, l’art. 100 del codice di procedura penale turco richiede l’esistenza di prove fattuali idonee a fondare il forte sospetto circa la commessione di un reato, circostanza non verificatasi nel caso di specie. Infine, in ordine alla denunciata violazione dell’art.18 della Convenzione, i ricorrenti hanno sostenuto che la loro la detenzione fosse stata preordinata ad infliggere loro una punizione per aver osato muovere critiche al governo. Sul punto, la Corte ha ritenuto non provato oltre ogni ragionevole dubbio che la custodia cautelare dei ricorrenti fosse stata ordinata per uno scopo non previsto dalla Convenzione ai sensi dell’invocata disposizione, la cui violazione è stata, pertanto, esclusa. La Corte Edu ha condannato la Turchia a pagare 16.000 euro (EUR) a ciascuno degli otto ricorrenti, per il danno morale subito.

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