Diritto di critica dell’avvocato nei confronti del giudice e responsabilità disciplinare professionale (CEDU, Sez. V, sent. 25.6.2020, ric. nn. 81024/12 e 28198/15)

La Corte si pronuncia sul caso di un cittadino azero, il sig. Khalid Zakir oglu Bagirov, il quale lamentava la violazione dei propri diritti alla libertà di espressione e al rispetto della vita privata perché l’Ordine degli avvocati azero lo aveva sospeso dall’esercizio della professione per un periodo di un anno e successivamente lo aveva radiato dall’albo a causa delle sue dichiarazioni sulla brutalità della polizia e sul funzionamento del sistema giudiziario nel paese. In particolare, per quanto riguarda la sanzione disciplinare della sospensione, la Corte osserva che la normativa interna sulla responsabilità disciplinare degli avvocati elenca i casi in cui un avvocato è soggetto a responsabilità disciplinare (violazione delle disposizioni della Legge e di altri atti legislativi, dello Statuto sulle regole di condotta degli avvocati e le norme deontologiche dell’avvocato) ed evidenzia che, nel caso di specie, il ricorrente era stato sottoposto a responsabilità disciplinare sulla base di una presunta violazione dell’obbligo di riservatezza, senza tuttavia specificare quale disposizione del diritto interno si assumesse violata. La Corte osserva che il ricorrente era stato sanzionato per aver ribadito la posizione pubblicamente espressa della madre di una presunta vittima a seguito di scontri con la polizia e rileva che non risulta dalla disciplina normativa interna che l’uso delle informazioni disponibili di pubblico dominio rientri nella riservatezza dell’avvocato. Al contrario, la formulazione delle suddette disposizioni indica chiaramente che le informazioni rientranti nel segreto professionale dell’avvocato devono essere state ottenute da un avvocato nell’ambito della sua attività professionale. La Corte ribadisce che non è suo compito sostituire la propria interpretazione a quella delle autorità nazionali, e in particolare dei tribunali, poiché spetta principalmente a questi ultimi interpretare e applicare il diritto interno (si veda Seyidzade c. Azerbaijan , n. 37700 / 05 , § 35, 3 dicembre 2009; Islam-Ittihad Association e altri c. Azerbaijan , n. 5548/05 , § 49, 13 novembre 2014; e Karácsony e altri c. Ungheria [GC], nn. 42461/13 e 44357 / 13 , § 123, 17 maggio 2016 ) . Tuttavia, nel caso di specie i tribunali nazionali, pur ritenendo che il ricorrente avesse violato l’obbligo di riservatezza, hanno ignorato il fatto che la formulazione letterale della legge chiaramente indica che le informazioni coperte da tale obbligo devono essere ottenuto da un avvocato nella promozione della sua attività professionale, mentre il ricorrente si era limitato a ribadire ciò che era di dominio pubblico. La Corte, pertanto, dichiara che v’è stata una violazione degli artt. 8 e 10 della Convenzione per quanto riguarda la sanzione della sospensione dalla professione per il periodo di un anno. Per quanto riguarda la sanzione della radiazione dall’albo a seguito di alcune dichiarazioni rese in aula dal ricorrente in qualità di difensore costituito e aventi ad oggetto aspre critiche nei confronti non soltanto del sistema giudiziario in Azerbaijan, ma anche del giudice chiamato a decidere nel procedimento penale in corso, la Corte evidenzia che le parti hanno certamente il diritto di commentare l’amministrazione della giustizia al fine di difendere i propri diritti, ma anche la critica non deve oltrepassare certi limiti e che, in ogni caso, la sanzione inflitta da parte dei giudici nazionali sia proporzionata e trovi un equilibrio tra la necessità di proteggere l’autorità del potere giudiziario e la necessità di tutelare il diritto alla libertà di espressione del ricorrente.La Corte, pertanto, ritiene che nel caso di specie i tribunali nazionali non sono riusciti a prendere in considerazione una serie di elementi che avrebbero dovuto essere presi in considerazione come il fatto che il ricorrente avesse reso tali dichiarazioni in un’aula di tribunale nel corso del procedimento penale in qualità di avvocato del suo cliente e che, al momento in cui le osservazioni erano state formulate dinanzi alla Corte d’appello, essa si era già pronunciata nel caso Ilgar Mammadov c. Azerbaigian (n. 15172/13 , 22 maggio 2014) , constatando che vi era stata violazione degli articoli 5 e 18 della Convenzione e che la limitazione di libertà del sig. Ilgar Mammadov era stata imposta per scopi diversi da quelli prescritti dalla Convenzione. La Corte, d’altronde, ha successivamente ritenuto che vi fossero state una serie di gravi carenze nel procedimento penale contro Ilgar Mammadov (cfr. Ilgar Mammadov c. Azerbaijan (n. 2), n. 919/15 , 16 novembre 2017). La Corte rileva, pertanto, che la radiazione dall’albo è una sanzione severa e sproporzionata, riconoscendo anche sotto questo profilo una violazione degli artt. 8 e 10 della Convenzione.

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