La Corte EDU si pronuncia sulla libertà di riunione sancita dall’articolo 11 della Convenzione, che afferma: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione”, “l’esercizio di questi diritti non può essere soggetto a restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla difesa dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei reati”. Il caso sottoposto a giudizio è quello di una manifestazione pacifica, trasformatasi in un attacco al cordone di polizia per ottenere l’accesso al Parlamento. Data la previsione dell’articolo 11, seppur la manifestazione è sfociata in violenti atti fisici contro la polizia, bisogna valutare se l’interferenza delle autorità possa considerarsi “necessaria in una società democratica”. I ricorrenti non hanno negato di aver commesso violenze contro la polizia, ciò che hanno contestato è il grado di tale violenza. L’osservazione determinante è quella per cui, la decisione dei ricorrenti di recarsi presso l’edificio del Parlamento, forzando il cordone di polizia, ha provocato violenze da parte loro verso la polizia stessa. Quando i manifestanti disturbano intenzionalmente le attività lecite altrui, questi disturbi possono essere considerati “atti riprovevoli” ai sensi della giurisprudenza della Corte. Pertanto, tale comportamento, può giustificare l’imposizione di sanzioni, anche penali. I ricorrenti sono stati condannati, non per avere partecipato alla riunione, ma, per i loro comportamenti violenti adottati al termine della manifestazione. I tribunali nazionali hanno basato le decisioni su una valutazione accettabile dei fatti e su motivi pertinenti e sufficienti. Di conseguenza, non hanno superato il margine di apprezzamento in materia e non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 11 della Convenzione. |