Con la sent. n. 208 la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità
sollevata dal GUP del Tribunale di Nola sulla nuova disciplina introdotta dalla riforma Cartabia.
Nello specifico una persona condannata, con rito abbreviato, a due anni e quattro mesi di reclusione
aveva rinunciato all’impugnazione, ottenendo l’ulteriore sconto di un sesto della pena ora previsto
dal nuovo co. 2-bis dell’art. 442 del cpp. Il giudice dell’esecuzione aveva quindi ridotto la pena a un
anno, undici mesi e dieci giorni di reclusione. Il condannato aveva però anche chiesto al giudice i
benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, che in via generale possono
essere concessi quando la pena concretamente inflitta resti al di sotto del tetto di due anni di
reclusione. Ma Il giudice aveva osservato che la riforma non attribuisce espressamente questo potere
al giudice dell’esecuzione e, ritenendo che tale mancata previsione non fosse compatibile con il
principio di eguaglianza e la finalità rieducativa della pena, aveva investito della questione la Corte.
I Giudici hanno stabilito che il condannato in esito a un giudizio abbreviato che non abbia proposto
impugnazione deve poter essere ammesso alla sospensione condizionale e alla non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando per effetto della diminuzione di un sesto
prevista dalla “riforma Cartabia” la pena inflittagli non superi i due anni di reclusione. In particolare,
la Corte costituzionale ha chiarito che i principi costituzionali evocati dal giudice impongono
effettivamente di riconoscere al giudice dell’esecuzione il potere di valutare se sussistano i
presupposti per la concessione dei due benefici, ogniqualvolta la pena da eseguire sia ridotta entro
il limite dei due anni per effetto della riduzione prevista dalla riforma. La Corte, inoltre, ha
sottolineato la funzionalità alla finalità rieducativa della pena dei benefici in esame, entrambi di
antica tradizione nel nostro ordinamento. In particolare, la sospensione condizionale mira, da un
lato, ad evitare gli effetti criminogeni e desocializzanti della pena detentiva breve. Dall’altro, essa
intende prevenire la commissione di nuovi reati da parte del condannato attraverso la minaccia di
revoca del beneficio, e a favorirne il percorso di risocializzazione attraverso gli obblighi riparatori,
ripristinatori o di recupero che possono essere associati al beneficio. In conformità al principio
costituzionale della finalità rieducativa, il legislatore ha previsto in generale che le pene detentive
non superiori a due anni possano essere sospese. Ciò deve valere anche quando la determinazione
finale della pena costituisca il risultato degli sconti di pena stabiliti dal legislatore in cambio di scelte
processuali, con cui l’imputato volontariamente rinuncia a garanzie che formano parte integrante
dei suoi diritti costituzionali di difesa in giudizio (come il diritto di proporre appello contro la
sentenza di condanna che lo riguarda), fornendo così un contributo al più rapido ed efficiente
funzionamento del sistema penale nel suo complesso. Secondo la Corte, il giudice avrebbe potuto
concedere i benefici al condannato anche sulla base della legge oggi vigente, interpretata in conformità ai principi costituzionali. Tuttavia, a seguito delle pronunce della Corte di cassazione, la
Corte costituzionale ha ritenuto opportuno intervenire per assicurare la certezza del diritto in
materia processuale, dichiarando costituzionalmente illegittima la mancata espressa previsione
della possibilità per il giudice dell’esecuzione di concedere i due benefici, quando il giudice della
cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena originariamente determinata era superiore
ai relativi limiti di legge.