1) L’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto in combinato disposto con l’articolo 45, paragrafo 4, della medesima direttiva e alla luce del principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto alla buona amministrazione, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che: esso osta ad una normativa nazionale, la quale preveda che, allorché una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale o di revoca di tale protezione è fondata su informazioni la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, la persona interessata o il suo consulente possano accedere a tali informazioni soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione a tal fine, non ricevano in comunicazione neppure il contenuto essenziale della motivazione su cui sono fondate le decisioni suddette, e comunque non possano utilizzare, ai fini del procedimento amministrativo o di quello giurisdizionale, le informazioni alle quali abbiano potuto avere accesso. 2) L’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, nonché l’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e con l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, devono essere interpretati nel senso che: essi ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale l’autorità accertante sia sistematicamente tenuta – qualora degli organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale abbiano constatato, mediante un parere non motivato, che una persona costituiva una minaccia per tale sicurezza nazionale – ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria a tale persona o a revocare una protezione internazionale precedentemente concessa a quest’ultima, fondandosi sul parere summenzionato. 3) L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a che un richiedente sia escluso dal beneficio della protezione sussidiaria, in virtù di tale disposizione, sulla base di una condanna penale che era già nota alle autorità competenti, qualora queste ultime abbiano concesso a tale richiedente, all’esito di un precedente procedimento, uno status di rifugiato che gli è stato poi revocato.
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