Con la sentenza n. 79 del 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, co.1, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU), l’art. 55, l. n. 184/1983, nella parte in cui, rinviando all’art. 300, co. 2, c.c., prevede che l’adozione in casi particolari non comporti alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante. Il mancato riconoscimento dei legami familiari con i parenti del genitore adottivo contrasta con le fondamentali rationes cui è ispirato l’istituto introdotto dalla l. n. 184/1983, ovvero la valorizzazione dell’effettività del rapporto instauratosi tra il minore e il genitore adottivo, e la difficoltà o impossibilità per taluni minori di accedere all’adozione piena. Al dato legislativo deve affiancarsi, da un lato, l’evoluzione del diritto vivente che ha gradualmente valorizzato, ampliandone il raggio applicativo, alcune specificità di tale tipologia di adozione (cfr. Cons. dir. n. 5.2), dall’altro, la stessa giurisprudenza costituzionale che ha sempre motivato l’ampliamento della tutela della normativa sulle adozioni in casi particolari con il “primario interesse del minore”, principio riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost. nonché a molteplici fonti europee e internazionali, direttamente o indirettamente vincolanti il nostro ordinamento. D’altronde, la stessa, attuale disciplina dei rapporti parentali è espressione della unicità dello status di figlio e, al contempo, risponde al bisogno di tutela dell’interesse del minore, vero principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013 (l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013). Sottolinea la Corte che, in virtù del nuovo art. 315 c.c. («Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico») e dell’art. 74 c.c. (secondo cui la parentela è il legame/vincolo familiare tra persone discendenti da un medesimo stipite, anche nel caso in cui il figlio è adottivo), il soggetto, divenuto figlio, entra nella rete parentale che fa capo allo stipite da cui discende ciascuno dei suoi genitori, senza che le linee parentali siano condizionate dalla relazione giuridica fra i genitori. La spinta del principio di eguaglianza, alla luce dell’evoluzione della coscienza sociale, ha, dunque, inciso sulla concezione stessa dello status di figlio, che in sé attrae l’appartenenza a una comunità familiare, secondo una logica fondata sulle responsabilità che discendono dalla filiazione e sull’esigenza di perseguire il miglior interesse del minore. Se, poi, è vero che lo status è appartenenza a una comunità, non può tacersi che il legislatore, ancor prima che la novella di riforma dell’art. 74 cod. civ. alludesse al possibile sorgere di rapporti familiari, ha palesato, con l’art. 57, comma 2, della legge n. 184 del 1983, che l’adozione di un minore non può prescindere dal suo inserimento in un contesto familiare. Nel decidere sull’adozione in casi particolari, infatti, il giudice deve verificare non soltanto «l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore» dell’adottante, ma anche valutare «l’ambiente familiare degli adottanti». Tale quadro normativo evidenzia, dunque, che il minore adottato ha lo status di figlio e nondimeno si vede privato del riconoscimento giuridico della sua appartenenza proprio a quell’ambiente familiare, che il giudice è chiamato, per legge (art. 57, co. 2, l. n. 184/1983), a valutare, al fine di deliberare in merito all’adozione. “Ne consegue che, a dispetto della unificazione dello status di figlio, al solo minore adottato in casi particolari vengono negati i legami parentali con la famiglia del genitore adottivo. Irragionevolmente un profilo così rilevante per la crescita e per la stabilità di un bambino viene regolato con la disciplina di un istituto, qual è l’adozione del maggiore d’età, plasmato su esigenze prettamente patrimoniali e successorie. La norma censurata priva, in tal modo, il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni. Al contempo, la disciplina censurata lede il minore nell’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare del genitore adottivo e, dunque, dall’appartenenza a quella nuova rete di relazioni, che di fatto vanno a costruire stabilmente la sua identità”. Per tali motivi la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
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