Con la sentenza n. 8/2021 la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP del Tribunale di Catanzaro in ordine all’art. 23, comma 1, d. l. n. 76/2020, conv., con modif., nella l. n. 120/2020, che ha apportato una modifica di segno restrittivo dell’ambito di rilevanza penale del reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c. p. I dubbi
del rimettente sono correlati sia al procedimento di produzione della norma – e, in particolare, alla
scelta di introdurla mediante decretazione d’urgenza – sia ai suoi contenuti. In relazione ai primi, la Corte ha innanzitutto evidenziato che l’esigenza di fronteggiare una situazione di straordinaria complessità quale quella pandemica, ha richiesto interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all’unico scopo di approntare urgentemente rimedi opportuni. Come emerge dal preambolo, dai lavori preparatori e dalle dichiarazioni ufficiali che ne hanno accompagnato l’approvazione, il d. l. n. 76 del 2020 reca un complesso di norme eterogenee accomunate dall’obiettivo di promuovere la ripresa economica del Paese dopo il blocco delle attività produttive che ha caratterizzato la prima fase dell’emergenza pandemica. In quest’ottica, il provvedimento interviene in molteplici ambiti: semplificazioni di vario ordine per le imprese e per la pubblica amministrazione, diffusione dell’amministrazione digitale, ma anche responsabilità degli amministratori pubblici. Dunque, il collegamento tra l’intervento in materia penale e gli obiettivi di fondo del provvedimento d’urgenza è individuabile “nell’idea che la ripresa del Paese possa essere facilitata da una più puntuale delimitazione delle responsabilità. “Paura della firma” e “burocrazia difensiva”, indotte dal timore di un’imputazione per abuso d’ufficio, si tradurrebbero, in quanto fonte di inefficienza e immobilismo, in un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente”. Con specifico riguardo, poi, al contenuto della disposizione censurata, i giudici costituzionali hanno sottolineato – anche a seguito di una dettagliata ricostruzione normativa e giurisprudenziale che ne ha evidenziato le criticità ben prima della diffusione pandemica – i “significativi riflessi negativi in termini di perdita di efficienza e di rallentamento dell’azione amministrativa, della…diffusione del fenomeno (della) “burocrazia difensiva”. I pubblici funzionari si astengono, cioè, dall’assumere decisioni che pur riterrebbero utili per il perseguimento dell’interesse pubblico, preferendo assumerne altre meno impegnative (in quanto appiattite su prassi consolidate e anelastiche), o più spesso restare inerti, per il timore di esporsi a possibili addebiti penali (cosiddetta “paura della firma”) …. Il solo rischio, ubiquo e indefinito, del coinvolgimento in un procedimento penale, con i costi materiali, umani e sociali (per il ricorrente clamore mediatico) che esso comporta, basta a generare un “effetto di raffreddamento”, che induce il funzionario ad imboccare la via per sé più rassicurante”. Per tali motivi, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 76/2020, sollevata in riferimento all’art. 77 della Costituzione e inammissibili le questioni sollevate in riferimento agli arttt. 3 e 97 Cost.