È infondata la questione di legittimità costituzionale relativamente alle all’art. 8, co. 1, lettera a) Dlgs n. 235/2012 c.d. legge Severino in materia di sospensione dalla carica di consigliere regionale, in caso di condanna non definitiva per determinati reati per la mancanza di analoga previsione a carico dei parlamentari. Ad avviso della Corte «non appare configurabile, sotto il profilo della disparità di trattamento, un raffronto tra la posizione dei titolari di cariche elettive nelle regioni e negli enti locali e quella dei membri del Parlamento e del Governo, essendo evidente il diverso livello istituzionale e funzionale degli organi costituzionali ora citati: ne consegue che, anche a prescindere dalle finalità e dalle motivazioni che hanno ispirato la normativa in esame […], certamente non può ritenersi irragionevole la scelta operata dal legislatore di dettare le norme impugnate con esclusivo riferimento ai titolari di cariche elettive non nazionali». Quanto alle finalità della normativa, questa Corte ha rilevato che «il legislatore con la disciplina in esame ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l’esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare», e che «[l]a scelta di intervenire a livello degli enti locali si fonda, come si legge più volte nei lavori preparatori, su dati di esperienza oggettivi, i quali dimostrano che i fenomeni che si intendono arginare trovano in tale ambito le loro principali manifestazioni: tale scelta, pertanto, non può certamente ritenersi viziata da irragionevolezza».
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