Con la decisione resa al caso in esame, la Corte di Strasburgo si è pronunciata su un ricorso presentato contro la Russia per violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU con riferimento alla mancata protezione di una cittadina russa da atti di cyberviolenza e, in particolare, revenge porn, molestie informatiche e cyberstalking. Quest’ultima, infatti, denunciava la lesione del diritto al rispetto della vita privata da parte del suo ex compagno, il quale, dopo la separazione, oltre ad averla minacciata e aggredita in diverse occasioni, violava l’account della ricorrente sulla piattaforma di un social media e, in quella sede, rivelava il suo vero nome (precedentemente modificato dalla Signora per ragioni di sicurezza), pubblicava i suoi dati personali e, senza il suo consenso, caricava fotografie intime della medesima. In seguito a ciò, la ricorrente si rivolgeva agli organi di polizia giudiziaria lamentando non solo la violazione del proprio diritto alla privacy ma altresì denunciando di avere subito minacce di morte tramite social media. Malgrado ciò, la polizia archiviava il procedimento penale contro l’ex compagno affermando che le minacce, in ragione del mezzo utilizzato per la loro diffusione, non potessero essere considerate “reali”. Del pari, veniva respinta la domanda presentata dalla ricorrente con la quale si faceva richiesta di emettere un’ordinanza giudiziale che impedisse al Sig. XXX. di utilizzare Internet, contattandola con qualsiasi mezzo di comunicazione elettronica. Successivamente, la polizia rifiutava di aprire un procedimento penale contro quest’ultimo nonostante la ricorrente avesse denunciato la scoperta di un dispositivo di localizzazione GPS nella fodera della sua borsa e, da ultimo, veniva archiviato il procedimento avviato per la creazione di profili falsi sui social media e la pubblicazione di fotografie di nudo della ricorrente senza il consenso di quest’ultima. Tutto ciò premesso, la Sig. XXX adiva la Corte EDU lamentando l’omessa protezione da parte delle autorità russe della sua vita privata contro i ripetuti attacchi di cyberviolenza cui era stata sottoposta, ed eccepiva, quindi, la mancata tutela efficace a prevenzione e a contrasto degli illeciti informatici. Nel merito, i giudici di Strasburgo hanno ribadito la consolidata affermazione per la quale il concetto di vita privata include l’integrità fisica e psichica di ogni persona e che gli Stati hanno il dovere di proteggerla in maniera efficace specialmente contro gli atti di violenza domestica che si ripercuotono ai danni di bambini, donne e altre persone vulnerabili; atti di violenza tra i quali devono essere senz’altro ricompresi gli atti di cyberviolenza, le molestie informatiche e i furti d’identità, rispetto ai quali si impone un obbligo positivo in capo agli Stati di istituire e applicare un sistema di repressione delle violazioni in oggetto e di fornire garanzie sufficienti per le vittime, ivi compreso l’obbligo di condurre indagini efficaci contro gli atti di violenza denunciati. Nel caso di specie, accertata la sussumibilità delle condotte subite dalla ricorrente nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 8 della Convenzione, la Corte si è soffermata a indagare sull’adempimento degli obblighi di protezione da parte dello Stato; a tal proposito, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto l’insufficienza e l’inefficacia dei rimedi nazionali per garantire la protezione della ricorrente contro i ripetuti attacchi di cyberviolenza, specialmente con riferimento all’impossibilità per la vittima di richiedere ordini immediati di costrizione o protezione in grado di prevenire il ripetersi della violenza domestica. In particolare, la Corte ha obiettato l’inadeguatezza dell’intervento delle autorità giudiziarie russe le quali, mancando di effettuare indagini rapide e approfondite, hanno permesso al Sig. XXX di minacciare reiteratamente la ricorrente, molestarla e aggredirla con atti di cyberviolenza, lasciando impunite le sofferenze fisiche e psichiche inflitte alla ex compagna. In definitiva, la Corte ha riscontrato, da parte delle autorità russe, il mancato adempimento degli obblighi positivi di protezione delle vittime di violenza domestica ai sensi dell’art. 8 CEDU e, per l’effetto, condannato lo Stato convenuto al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente.
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