Secondo il Supremo giudice amministrativo, l’art. 21, comma 2, della legge n. 865 del 1971 ha introdotto un diritto di prelazione a favore dei Comuni, tale da consentire loro l’acquisizione delle suddette aree al proprio patrimonio indisponibile, esercitabile, nei confronti dell’ente espropriante sulle aree rimaste inutilizzate, entro 180 giorni dalla cessazione della destinazione delle stesse ad interesse pubblico. Tale diritto di prelazione non possa operare quando, come nel caso in esame, l’ente espropriante sia lo stesso Comune. In tali casi, infatti, appare impossibile, da un punto di vista logico prima che giuridico, che l’amministrazione comunale, già titolare del diritto dominicale acquisito al patrimonio indisponibile (l. n. 865 del 1971, art. 35, comma 3), eserciti la prelazione nei confronti di sé stessa, al fine di ottenere la proprietà di un’area da acquisire allo stesso patrimonio indisponibile. Queste aree, proprio per rientrare nel patrimonio indisponibile dell’ente, non possono essere sottratte alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828, comma 2, c.c.) e dunque non sono soggette a retrocessione.
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