La dimensione oggettiva del giudicato amministrativo è correlata all’oggetto del processo e alla struttura del giudizio. Quando è impugnato un provvedimento discrezionale, i limiti oggettivi del giudicato amministrativo sono saldamente ancorati agli specifici argomenti di fatto e di diritto che integrano la violazione accertata dal giudice. Nel caso di specie, trattandosi di mancata attribuzione dell’ASN, si è posta la questione riguardante il se, dopo l’accertamento giurisdizionale della illegittimità di un diniego su di una istanza, l’amministrazione possa negare nuovamente al ricorrente il bene della vita a cui il ricorrente aspira in base ad accertamenti o valutazioni che sarebbero potuti essere già compiuti nell’originario procedimento amministrativo, ovvero se ne consegua il vincolo conformativo di accordare la richiesta del cittadino. All’esito dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa culminata con il nuovo codice del processo amministrativo, il sistema delle tutele è stato segnato da sviluppi che si pongono tutti in direzione di una maggiore “effettività” del sindacato del giudice amministrativo, sia nei casi in cui il provvedimento viene confermato, sia nei casi in cui l’interesse legittimo viene ritenuto leso. Il c.p.a. prefigura un sistema aperto di tutele e non di azioni tipiche, il quale riflette l’esigenza di una tutela conformata non alle situazioni giuridiche sostantive bensì al bisogno differenziato di tutela dell’interesse protetto, il cui grado e la cui intensità sono spesso definiti ex post dal giudice e non ex ante. Per quanto permanga la centralità della struttura impugnatoria, il c.p.a. valorizza al massimo grado le potenzialità cognitive dell’azione di annullamento attraverso istituti che consentono di concentrare nel giudizio di cognizione, per quanto possibile, tutte le questioni dalla cui definizione possa derivare una risposta definitiva alla domanda del privato di acquisizione o conservazione di un certo bene della vita; è oramai acclarata la possibilità per il giudice di spingersi “oltre” la rappresentazione dei fatti forniti dal procedimento, in quanto al giudice compete l’accertamento del fatto senza essere vincolato a quanto rappresentato nel provvedimento; al giudice della cognizione è stato attribuito il potere, una volta spendibile solo nella successiva sede dell’ottemperanza, di disporre le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta (art. 34 comma 1 lettera e), consentendo di esplicitare a priori, ovvero nel dispositivo della sentenza, gli effetti conformativi e ripristinatori da cui discende la regola del rapporto, e non più a posteriori, in sede di scrutinio della condotta tenuta dall’amministrazione dopo la sentenza di annullamento. In definitiva, la giurisdizione è piena, nel senso che il giudice ha il potere di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione impugnata resa dall’autorità amministrativa.
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