La Corte di Giustizia si pronuncia in tema di misure discriminatorie (CGUE, Terza Sezione, 4 ottobre 2024, C-608/22 e C-609/22)

L’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi,
della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o
per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della
protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che: rientra nella nozione di «atto di
persecuzione» una somma di misure discriminatorie, nei confronti delle donne, adottate o tollerate
da un «responsabile delle persecuzioni», ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva, consistenti in
particolare nella privazione di qualsiasi protezione giuridica contro la violenza di genere, le violenze
domestiche e il matrimonio forzato, nell’obbligo di coprirsi completamente il corpo e il volto, nella
restrizione dell’accesso all’assistenza sanitaria e della libertà di circolazione, nel divieto di esercitare
un’attività lavorativa o nella limitazione del suo esercizio, nel divieto di accesso all’istruzione e alla
pratica sportiva e nell’esclusione dalla vita politica, in quanto tali misure, per il loro effetto
cumulativo, ledono il rispetto della dignità umana, quale garantito dall’articolo 1 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 deve
essere interpretato nel senso che: esso non impone all’autorità nazionale competente, al fine di
determinare se, tenuto conto delle condizioni esistenti nel paese di origine di una donna al momento
della valutazione della sua domanda di protezione internazionale, le misure discriminatorie alle
quali ella è stata o rischia di essere esposta in tale paese costituiscano atti di persecuzione, ai sensi
dell’articolo 9, paragrafo 1, di detta direttiva, di prendere in considerazione, nell’ambito dell’esame
individuale di tale domanda, ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della medesima direttiva, elementi
caratteristici della sua situazione personale diversi da quelli relativi al sesso o alla nazionalità.

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