La restituzione integrale della NASPI, anticipata per avvio di attività poi cessata per cause non imputabili al percettore, è incostituzionale: deve essere proporzionata alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità (Corte cost., sent. 10 aprile – 20 maggio 2024, n. 90)

Con la sent. n. 90 del 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8, co. 4, del d.
lgs. n. 22/2015, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della Nuova
assicurazione sociale per l’impiego (NASPI) nella misura corrispondente alla durata del rapporto
di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità, quando il percettore non
possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale
l’anticipazione gli è stata erogata. Nel caso di specie, la chiusura dell’attività imprenditoriale
“finanziata” con l’anticipazione della Naspi è stata causata dalla crisi pandemica da Covid-19,
dunque per causa non ascrivibile al percettore. Pertanto, la Corte costituzionale ha stabilito che il
recupero deve essere effettuato solo in proporzione al periodo interessato al rapporto di lavoro
subordinato successivamente instaurato, e non per l’intero importo. Resta, invece, integralmente
esigibile la somma anticipata laddove la cessazione dell’attività sia imputabile alla persona.

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