Non vi è “autodichia” delle Camere sulle controversie relative alle procedure di affidamento dei propri appalti (Corte cost., sent. 19 marzo – 19 aprile 2024, n. 65)

La Corte costituzionale ha rigettato il conflitto di attribuzioni proposto dalla Camera dei deputati
nei confronti della Corte di cassazione (Sezz. unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236) e del Consiglio
di Stato (Sez. V, 31 maggio 2021, n. 4150) che avevano affermato la sussistenza della giurisdizione
del giudice amministrativo in ordine alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi
prestati da terzi a favore della Camera stessa. La Corte ha innanzitutto sottolineato che
all’autonomia di ciascuna Camera – intesa quale potestà dell’organo costituzionale di produrre
norme relative al proprio funzionamento – è tradizionalmente associata quella di “autodichia”,
ovvero quella di giudicare direttamente, attraverso propri organi, delle controversie relative
all’applicazione di tali norme; potestà che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente
riconosciuto agli organi costituzionali, all’interno delle rispettive sfere di autonomia, allo scopo di
sottrarre a qualsiasi ingerenza esterna – in particolare del potere giudiziario – non solo la
disciplina, ma anche la concreta gestione dei rispettivi apparati serventi (cfr. sent. n. 262 del 2017).
In secondo luogo, la Corte ha rilevato che il fondamento dell’autonomia (e cioè, la tutela
dell’indipendenza degli organi costituzionali da ogni altro potere, a sua volta strumentale alla
garanzia del libero ed efficiente esercizio delle loro funzioni), “ne rappresenta anche il confine:
giacché, se è consentito agli organi costituzionali disciplinare il rapporto di lavoro con i propri
dipendenti, non spetta invece loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa, né
per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la
decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive (si pensi, ad
esempio, alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle
amministrazioni degli organi costituzionali)”. Del resto, queste ultime controversie, pur potendo
avere ad oggetto rapporti non estranei all’esercizio delle funzioni dell’organo costituzionale, non
riguardano in principio questioni puramente interne ad esso e non potrebbero perciò essere
sottratte alla giurisdizione comune». La Corte, infine, ribadisce il carattere eccezionale del
riconoscimento di una sfera di autodichia agli organi costituzionali con riferimento alle
controversie concernenti i propri dipendenti, rispetto alla «“grande regola” dello Stato di diritto ed
[al] conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema
costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)» (sent. n.
379 del 1996, punto 7 Cons. dir.). “Grande regola” richiamata anche dalla sentenza n. 120 del 2014
(proprio in materia di autodichia – punto 4.4. Considerato dir.), e che si sostanzia, anzitutto, nel
diritto inviolabile di ciascuno di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi,
davanti a un giudice “indipendente” e “naturale”. Principi oggi affermati con particolare incisività
anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei
diritti dell’uomo. Da ciò consegue che le sentenze della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato
che hanno dato origine al conflitto de quo non hanno determinato una lesione della sfera di
attribuzioni della Camera dei deputati nel riconoscere la giurisdizione del giudice comune (nella
specie, il giudice amministrativo) nella controversia da cui esso origina. La Corte costituzionale ha,
dunque, rigettato il ricorso promosso dalla Camera dei deputati.

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