La Corte costituzionale si pronuncia sui rimedi giurisdizionali a tutela dei diritti fondamentali (Corte costituzionale, sent. 14 febbraio 2024, n. 15)

La Corte costituzionale con la sentenza n. 15 del 2024, decidendo sul conflitto di attribuzione promosso dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Udine, ha ribadito che il controllo di costituzionalità delle leggi, di competenza della Corte costituzionale, e la verifica della compatibilità della normativa interna con il diritto UE, affidato ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia dell’UE, non sono in contrapposizione tra di loro, ma costituiscono un concorso di rimedi giurisdizionali volti alla tutela dei diritti fondamentali. Infatti, le caratteristiche del giudizio antidiscriminatorio dimostrano che la verifica della compatibilità della normativa interna con il diritto UE, affidato ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia dell’UE, e il controllo accentrato di legittimità costituzionale delle leggi, posto “a fondamento dell’architettura costituzionale” di competenza della Corte costituzionale, danno luogo a “un concorso di rimedi giurisdizionali”, tutti egualmente volti, con le proprie particolarità, ad apprestare tutela ai diritti fondamentali.
Nello specifico, i giudizi nascevano da due diverse controversie in materia di discriminazione, promosse ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011 presso il Tribunale di Udine. I casi riguardavano comportamenti della pubblica amministrazione che aveva richiesto, a cittadini extra UE titolari di permessi di lungo soggiorno che avevano fatto domanda per accedere ad agevolazioni in materia di diritto all’abitazione, di dimostrare l’impossidenza di immobili nel Paese di origine e nel Paese di provenienza con modalità diverse da quelle consentite ai cittadini UE. Il Tribunale di Udine ritenendo di non applicare la normativa regionale, perché in contrasto con l’art. 11 della direttiva 2003/109/CE, ha consentito ai ricorrenti di utilizzare una autocertificazione, analogamente a quanto consentito ai cittadini UE. La decisione del tribunale di ordinare alla Regione di modificare il regolamento contestato, al fine di rimuovere la discriminazione anche per il futuro, è stata oggetto del conflitto di attribuzione da parte della Regione Friuli-Venezia Giulia, la quale ha sostenuto che il giudice non può ordinare di rimuovere un regolamento conforme alla legge regionale. Nell’altro giudizio, il Tribunale di Udine ha, invece, sollevato questione di legittimità costituzionale della legge regionale di cui le disposizioni regolamentari, fonte del comportamento discriminatorio dell’amministrazione, erano attuative.
La Corte costituzionale – dopo aver riconosciuto che, nel giudizio antidiscriminatorio, il giudice ordinario può ordinare la modifica di un regolamento al fine di evitare in futuro il ripetersi della discriminazione – ha affermato, tuttavia, che, quando detta discriminazione trovi origine diretta nella legge, il giudice è tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale della stessa, per evitare che l’amministrazione sia costretta ad adottare atti regolamentari confliggenti con la legge non rimossa. Ciò vale anche qualora la normativa nazionale sia ritenuta in contrasto con il diritto UE. La Corte costituzionale ha rilevato che nel giudizio antidiscriminatorio l’efficacia diretta del diritto UE è garantita quando, accertato che la condotta contestata trova fondamento in atti normativi incompatibili con la normativa dell’UE, il giudice “dà immediata applicazione a quest’ultima e ordina la cessazione della discriminazione”. Se, invece, egli intenda ordinare la modifica di norme regolamentari discriminatorie, viene in gioco “una logica interna all’ordinamento nazionale che, con una forma rimediale peculiare e aggiuntiva, è funzionale a garantire un’efficace rimozione, anche pro futuro, della discriminazione”, attraverso l’eliminazione della normativa incostituzionale.

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