Retribuzione individuale di anzianità (c.d. RIA) dei dipendenti pubblici: è costituzionalmente illegittima la disposizione successiva che, retroattivamente, ha privato di effetto la proroga del beneficio delle maggiorazioni (Corte cost., sent. 6 dicembre-11 gennaio 2024, n. 4)

Con sent. n. 4 del 2024 la Corte costituzionale ha accolto la questione di costituzionalità relativa all’art. 51, co. 3, della legge n. 388 del 2000, sollevata dal Consiglio di Stato, II Sez., in riferimento agli artt. 3, 24, co. 1, 102, 111, co. 1 e 2, e 117, co. 1 (in relazione all’art. 6 CEDU), Cost. Attribuendo alla disposizione censurata carattere interpretativo dell’art. 7, co. 1, d. l. n. 384/1992 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), il legislatore escludeva che la prevista proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto relativi al triennio 1988-1990 si estendesse anche alla maturazione delle maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità (c.d. RIA). In proposito, la Corte costituzionale ha preliminarmente ritenuto che il censurato art. 51, co. 3, l. 388/2000 non abbia portata interpretativa in quanto, non assegnando all’art. 7, co.1, d. l. n. 384/1992, come convertito, uno dei possibili significati normativi ad esso attribuibili, ha in realtà conferito allo stesso un nuovo significato, non ricavabile dal testo della legge, dunque rivelando il suo carattere di norma innovativa con efficacia retroattiva. Una volta esclusa la natura autenticamente interpretativa della disposizione, i giudici costituzionali hanno evidenziato, innanzitutto, che l’art. 51 è stato adottato a notevole distanza dall’entrata in vigore della disposizione oggetto di interpretazione autentica. Conseguentemente, esso ha inciso sul contenzioso pendente, disvelando la volontà del legislatore di influire retroattivamente sui rapporti in essere e di condizionare i giudizi in corso, a fronte di un consolidato orientamento giurisprudenziale in senso sfavorevole alle amministrazioni pubbliche. Infine, al contrario di quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, la disposizione censurata ha causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare l’anzianità di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993 ai fini delle maggiorazioni della RIA. Non essendovi, pertanto, ragioni imperative di interesse generale che potrebbero, esse sole, giustificare un intervento retroattivo incidente su giudizi ancora pendenti, la Corte costituzionale – anche in considerazione della consolidata giurisprudenza della Corte EDU in materia – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in quanto contrastante con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost.

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