“Caso Renzi”: la Corte costituzionale accoglie il ricorso per conflitto di attribuzione riconducendo messaggi e-mail e whatsapp alla nozione di ‘corrispondenza’(Corte cost., sent. 22 giugno -27 luglio 2023, n. 170)

Con la sent. n. 170 del 2023 la Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione
interorganico sorto a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni del senatore Matteo
Renzi, disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze nell’ambito
del procedimento penale a carico dello stesso senatore (e altri), in assenza di una previa
autorizzazione da parte del Senato della Repubblica. La Corte ha precisato che, nel caso in esame,
sia i messaggi di posta elettronica (c.d. e-mail), sia quelli inviati mediante WhatsApp, non possono
considerarsi rientranti nell’ipotesi della ‘intercettazione’ (art. 68, co. 3, prima parte, Cost.), in
quanto non sono stati appresi nel momento dinamico in cui erano in corso, né all’insaputa dei
soggetti tra i quali è intercorsa la comunicazione. Dunque, essi debbono qualificarsi
‘corrispondenza’ e gli atti investigativi che l’hanno attinta ricadono nell’altra fattispecie cui ha
riguardo l’art. 68, terzo comma, Cost.: quella, appunto, del «sequestro di corrispondenza». Nella
specie, si è di fronte a “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi – telefoni cellulari, ma
potrebbe trattarsi, allo stesso modo, di computer o di altri dispositivi – nella cui memoria erano
conservati messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti. In una simile
evenienza, gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre – in confronto al terzo non
parlamentare – il sequestro del “contenitore” (nella specie, del dispositivo di telefonia mobile). Nel
momento in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare,
debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa
copia) e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma
dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro. La Corte non ha,
invece, accolto il ricorso quanto all’acquisizione dell’estratto di conto corrente bancario. Nel caso di
specie, infatti, non è stato appreso l’estratto conto spedito dalla banca al correntista Renzi (caso
questo che potrebbe correttamente rientrare nel sequestro di corrispondenza), bensì tramite un
decreto di acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette effettuate in base alla
normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. n. 231 del 2007: segnalazioni tra i cui allegati figurava
l’estratto conto in questione, ricavato dalla segnalante Unità di informazione finanziaria della
Banca d’Italia tramite interrogazione delle banche dati in suo possesso. In simile ipotesi, non può
parlarsi di sequestro di corrispondenza. L’estratto conto è, infatti, un documento che ha una
funzione e una valenza autonoma, indipendente dalla spedizione al correntista. Esso non è altro
che un documento riepilogativo delle risultanze delle scritture contabili della banca, le quali
debbono riportare tutte le operazioni di dare e di avere passate in conto corrente. Si tratta, dunque,
di per sé, di un documento contabile interno all’ente creditizio: la circostanza che possa o debba
essere trasmesso al cliente non lo qualifica in modo automatico e permanente come
«corrispondenza», agli effetti dell’art. 68, terzo comma, Cost.

Redazione Autore