Nella sentenza che si segnala, la Corte EDU si è pronunziata sul ricorso presentato c. la Repubblica Federale di Germania dall’avvocato Müller, al quale era stata inflitta una sanzione amministrativa per essersi rifiutato di testimoniare in un processo contro gli ex amministratori legali di quattro società delle quali era stato consulente legale. Più in particolare, il ricorrente aveva lamentato come la misura irrogata avesse interferito con il diritto al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza ai sensi dell’art. 8 CEDU e, quindi, violato il suo status professionale di avvocato e il suo diritto-dovere di non rivelare segreti legati all’esercizio della sua professione. Tutto ciò, nonostante fosse stato sollevato dal vincolo del segreto professionale dall’attuale amministratore delegato delle imputate società. In proposito, il ricorrente aveva richiamato la disciplina codicistisca concernente il segreto professionale, al quale si sentiva comunque vincolato, dal momento che non tutti gli imputati coinvolti nel processo avevano espresso la medesima volontà. Il Governo federale, dal canto suo, riteneva insussistente la predetta ingerenza, specificando peraltro come il segreto professionale rivendicato dal Sig. Müller tutelasse il rapporto tra il ricorrente e le quattro società, persone giuridiche, e non anche quello tra lo stesso e gli ex amministratori legali, persone fisiche. La Corte EDU nello scrutinare il ricorso ha articolato la propria decisione seguendo diversi percorsi argomentativi. In premessa, essa ha inteso ribadire la portata prescrittiva della disposizione convenzionale, la quale oltre a tutelare la vita privata e familiare garantisce ad ogni individuo il rispetto della propria corrispondenza, proteggendo la riservatezza delle comunicazioni qualunque sia il loro contenuto e la loro forma. In via di principio, perciò, la richiesta di riferire informazioni – assunte in qualità di avvocato – si tradurrebbe in un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e, quindi, anche dell’attività di natura professionale o imprenditoriale. Venendo, quindi, al caso di specie i giudici di Strasburgo hanno reputato l’ingerenza giustificata, conforme alla legge nonché utile a prevenire e perseguire attività criminose e, quindi, necessaria a realizzare uno scopo legittimo. Sul punto la Corte ha ricordato che un’interferenza da parte dell’autorità pubblica ai sensi dell’art. 8 § 2 CEDU è considerata “necessaria in una società democratica” se risponde a un “bisogno sociale urgente” e se risulta proporzionata rispetto al bene da salvaguardare. Simile valutazione implica, in ogni caso, un margine di apprezzamento riservato alle autorità nazionali competenti. Sicché per gli interessi in gioco nel caso di specie, per l’entità non eccessiva della sanzione irrogata e per le ragioni addotte dai tribunali nazionali, considerate “rilevanti e sufficienti”, i giudici di Strasburgo non hanno rilevato la violazione dell’articolo 8 § 2 CEDU. Alla decisione – adottata a maggioranza del collegio e, dunque, non all’unanimità – segue l’articolata opinione di un giudice dissenziente.
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